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Il libro, scritto a 12 anni dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012), gesuita e biblista di fama internazionale, dal 1980 al 2002 arcivescovo di Milano, riflette sull’attualità del suo magistero, sottolineando la sua profezia e incisività nel pensare il futuro della Chiesa e del cristianesimo occidentale.
Franco Giulio Brambilla e Marco Vergottini si concentrano sull’uso del termine «laicato», con la proposta di un ripensamento radicale della questione laicale, inserendola nei problemi contemporanei della Chiesa e della società, seguendo le suggestioni che il card. Martini aveva anticipato, per un rinnovamento della Chiesa stessa.
Il libro presenta pagine intense ed elaborate con la passione di chi ha potuto frequentare Martini per molto tempo. Molto interessanti e di vivace attualità sono alcune domande che lo stesso cardinale si è posto durante la sua azione pastorale: «Che cosa vuol dire testimoniare Cristo nel mondo di oggi? Che cosa vuol dire, oggi, essere cristiani? La domanda si pone talora in maniera molto acuta» (p. 85). I curatori illustrano la vexata quaestio – impostasi in particolare dopo il Concilio Vaticano II – sul ruolo del laicato: «Il nostro contributo alla quaestio de laicis nasce proprio dal raffronto con le idee professate dal Cardinale. Ci interessa promuovere “lo spazio del laico” nella Chiesa e nel mondo, proprio nel momento in cui l’enfasi sul tema dei ministeri corre il rischio di rinserrare il laico nel recinto ecclesiastico, oppure di abbandonarlo nella landa desolata del mondo secolarizzato» (p. 6).
La proposta pastorale suggerita da Vergottini si basa sulla Lumen gentium. L’A. procede a un profondo confronto con il testo conciliare, cercando quel fil rouge che possa far uscire dall’ombra la vera questione «laici e Chiesa» in questo inizio del terzo millennio: «Sul piano storico-redazionale, occorre prendere le mosse dall’intento dei padri conciliari di assegnare, per la prima volta nella storia dei concili, una fattiva considerazione alla figura dei laici» (p. 25).
È il tempo di riposizionare i laici; scrive Brambilla: «Oggi, lo scenario sembra cambiato e appare polarizzato su due figure contrapposte che si alimentano a vicenda: da un lato, la figura “biografica” della testimonianza, concentrata sulla propria esperienza: il testimone è colui che racconta di un impegno singolare nella storia» (p. 68).
Dalle pagine del libro si evince l’auspicio di un’inversione di rotta: «Gli uomini di oggi non intendono più il linguaggio della salvezza, della redenzione e della riconciliazione, perché il suo lato antropologico è assorbito in una comprensione della riconciliazione e del perdono come “condono”» (p. 72). Il merito di Martini è stato quello «di riportare a una visione forte della riconciliazione e di farlo nel corpo vivo della testimonianza dei cristiani, nel percorso di una “santità cristiana comune”» (p. 73).
Gli AA. affermano: «Un serrato dialogo e un accorto rilancio delle intuizioni di Martini possono essere un giovamento a sciogliere una ingarbugliata matassa, in cui si registrano ancor oggi rigidi stereotipi, inusitati equivoci e puntuali ritardi nella presa d’atto e nella comprensione della realtà» (p. 6). Delineata la prospettiva di uscire dall’ombra, il cattivo discepolo è, come chiarisce Martini, «colui che non capisce questi valori, che li critica, che va alla ricerca di gesti clamorosi, dalle risonanze grandiose» (p. 133).