Quando pubblicammo il volume numero 9 di questa medesima collana, dedicandolo alla Russia – era il luglio del 2019 – non immaginavamo certo di poterci trovare oggi dentro al brutale conflitto aperto dall’invasione dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, da parte delle truppe di Vladimir Putin.
In quel momento ci chiedevamo dove si stesse collocando la Russia dentro il «cambiamento d’epoca» in corso e dopo la drammatica uscita di scena dell’Unione Sovietica.
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Oggi è difficile adempiere a un servizio indispensabile del giornalismo, ossia «contestualizzare» un evento, quando si è di fronte a una nazione brutalmente aggredita da un’altra che la invade. Eppure, è proprio questo che facciamo da sempre con gli Accenti: mettiamo in fila quello che nel nostro archivio serve a raccontare un processo, a ricostruire alcune tappe storiche utili a illuminare i fatti presenti e, forse, anche i passi di domani.
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Il volume «Ucraina» è suddiviso in tre sezioni. Nella prima ripercorriamo da un punto di vista storico-politico gli ultimi 25 anni, a partire dalla cosiddetta «rivoluzione arancione». Cominciamo con due articoli di Angelo Macchi, pubblicati tra il 2005 e il 2006, anni in cui l’Ucraina ha potuto finalmente realizzare l’aspirazione all’indipendenza dopo la dissoluzione dell’URSS nel 1991. Momento chiave fu il ballottaggio nelle elezioni presidenziali del 2004, vinto in modo molto disputato dal candidato filo-occidentale Yushchenko ai danni del filo-russo Yanukovich. Yushchenko ha poi nominato primo ministro la signora Tymoshenko, uno dei volti della rivoluzione. Ma i disaccordi fra i due leader, gli scandali finanziari, la corruzione e i contrasti sulle privatizzazioni provocarono la caduta del Governo. Nel frattempo, restavano incandescenti le braci del conflitto interno tra le regioni dell’Est filo-russe e quelle dell’Ovest filo-occidentali, che si sono poi accese con una guerra aperta e la annessione della Crimea da parte dei russi nel 2014. Qui si inserisce l’articolo di Pierre de Charentenay, che ricostruisce la lunga storia di identità dietro al conflitto, sorto su quella linea di demarcazione tra civiltà occidentale e civiltà ortodossa che è il corso del Dnepr. Una storia in cui anche il fattore economico e quello geopolitico sono molto importanti. Infine, completano questa prima sezione quattro articoli successivi di Giovanni Sale. Nel primo, nel 2018, egli spiegava come dopo il crollo dell’Urss e dopo le umiliazioni subite dalla Russia negli anni passati, Putin aveva saputo a suo modo ridare al Paese l’orgoglio di essere una grande nazione, con la ricomparsa sullo scacchiere politico internazionale. Nel secondo, commentava l’incidente del 25 novembre 2018 nello stretto di Kerch, che di fatto è stato il primo scontro diretto tra le forze armate russe e alcune unità della Marina militare ucraina. Nel terzo e nel quarto p. Sale ha cercato di seguire gli eventi dall’inizio della cosiddetta «operazione militare speciale», con la quale l’esercito russo il 24 febbraio 2022 ha invaso l’Ucraina con circa 200.000 soldati, bombardando le città, producendo migliaia di vittime civili e milioni di profughi nel cuore della vecchia Europa.
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Nella seconda sezione, invece, ricostruiamo il percorso storico della presenza cristiana in Ucraina. Da ricordare che l’Ucraina di oggi costituiva il nucleo centrale della futura Russia, il Regno detto della Rus’ di Kiev, sorto nel IX secolo, ossia prima del grande scisma d’Oriente. La fede cristiana era infatti giunta nel regno della Rus’ di Kiev da Costantinopoli, prima col battesimo della principessa Olga, poi con quello del nipote, il principe Vladimiro, avvenuto a Kherson in Crimea nell’anno 988, seguìto dal battesimo dell’intero popolo nel fiume Dnepr. Pur in presenza di influssi evangelizzatori provenienti dalla cristianità occidentale, latina, il cristianesimo della Rus’ di Kiev è stato improntato prevalentemente alla tradizione bizantina. Nonostante lo scisma religioso tra Oriente e Occidente dell’anno 1054, la comunione della Chiesa di Kiev con la Chiesa cattolica ha continuato a sussistere per lungo tempo.
La nostra riflessione si apre con un articolo del 1976 di p. Robert Hotz con cui ricordiamo la condizione dei cattolici nell’Unione Sovietica, con particolare attenzione alla tragica storia degli Stati baltici e delle loro Chiese dopo l’annessione sovietica e a quella della Chiesa uniata greca dell’Ucraina occidentale. Con due articoli di p. Giovanni Marchesi andiamo proprio ad accendere un riflettore sui greco-cattolici in Ucraina e sull’evoluzione dei loro problemi concreti con le comunità ortodosse nel corso del tempo. In questo contesto, Constantin Simon ripercorre quattro secoli di presenza dei gesuiti in Ucraina a partire dal secolo XVI. In particolare vengono messi a fuoco i loro rapporti con i ruteni (antenati degli odierni ucraini), poi divisi fra la componente «uniate» e quella ortodossa. La seconda sezione si chiude con un altro articolo di p. Marchesi sulla visita pastorale di Giovanni Paolo II in Ucraina, avvenuta tra il 23 e il 27 giugno 2001, per onorare la memoria dei testimoni di una nazione «martire», soprattutto nel secolo XX. Un pellegrinaggio sul quale però ha pesato l’assenza della Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca.
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Nella terza breve e ultima sezione, come spesso ci capita, ci facciamo accompagnare dalla letteratura, in questo caso da due grandi «russi» di origine ucraina, ossia Bulgakov e Gogol, entrambi presenti grazie alla penna di p. Ferdinando Castelli. Il primo articolo risale all’uscita in Italia de Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Per Castelli esso rappresentò una grossa triplice sorpresa: un’opera dal non comune valore artistico, ricca d’inventiva, di verve surrealistica e satirica e di fine humour. Il secondo articolo intende ricostruire l’«enigma-Gogol», analizzando alcuni suoi racconti più significativi, oltre che Le anime morte, Il revisore e Passi scelti.
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Questo volume esce mentre è in corso l’aggressione militare dell’Ucraina da parte della Federazione russa. Segue l’uscita del numero 4122, in cui, per la prima volta dal 1850, La Civiltà Cattolica, ha deciso di mettere sullo sfondo la sua testata per far spazio all’appello di papa Francesco: Fermatevi!
Egli, infatti, dopo l’Angelus di domenica 6 marzo 2022, ha esclamato: «La guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate questa crudeltà!». All’Angelus del 13 marzo il Pontefice ha aggiunto: «Non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri». E alla fine ha lanciato l’appello: «In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!». La Civiltà Cattolica ha rilanciato l’appello su tutti i media sociali della rivista con l’hashtag #Fermatevi, soprattutto su Twitter, Facebook e Instagram.
Oggi, a nove anni dalla sua elezione, comprendiamo pienamente quanto giusta sia la definizione di «Terza guerra mondiale a pezzi» che il Pontefice ha coniato: una guerra progressiva, che coinvolge altri scenari insanguinati quali lo Yemen, la Siria, l’Etiopia, e che sembra inarrestabile.
L’appello di Francesco è alle coscienze davanti a un conflitto che non risparmia nessuno, neanche i bambini. E bisogna fermarsi perché l’escalation potrebbe condurre l’umanità in un vicolo cieco dal quale sarà difficile uscire. Più crudele sarà la guerra, più il fiume di lacrime e sangue sarà in piena, più sarà tortuoso il percorso di una possibile riconciliazione. E sullo sfondo, per la prima volta dopo la crisi cubana del 1962, appare lo spettro della minaccia atomica.
Ci ha colpito pure che Francesco abbia fatto esplicito riferimento alla Costituzione italiana per dire che chi ama la pace «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 11). Come cittadini e come credenti, noi ci uniamo al suo appello, e lo rilanciamo nella speranza di contribuire a far tacere le armi.
Papa Francesco ha incontrato tre volte il presidente russo Putin (2013, 2015 e 2019), una volta il presidente ucraino Poroshenko (2015) e una volta il suo successore, il presidente Zelensky (2020). Nel 2015 Francesco aveva parlato con Putin circa la situazione riguardante l’Ucraina, affermando «che occorre impegnarsi in un sincero e grande sforzo per realizzare la pace». Con lui aveva «convenuto sulla importanza di ricostituire un clima di dialogo e che tutte le parti si impegnino per attuare gli accordi di Minsk». E nel 2020 i colloqui con Zelensky erano stati dedicati – recita un comunicato di allora – «alla ricerca della pace nel contesto del conflitto che, dal 2014, sta ancora affliggendo l’Ucraina». Al riguardo, si era condiviso l’auspicio che «tutte le Parti implicate dimostrino la massima sensibilità nei riguardi delle necessità della popolazione, prima vittima delle violenze, nonché impegno e coerenza nel dialogo».
Il Pontefice oggi indica la strada: «Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri». Ripetere l’appello Fermatevi! – anche da una copertina – ci sembra, dunque, aiuti a collocarci bene nella richiesta di pace.
La diplomazia vaticana guarda al momento presente, ma anche al prossimo futuro. In questo senso è chiara nella condanna, ma intende tessere e cucire, non tagliare. Non attacca capi religiosi o politici, così da poter restare di ausilio. Fa invece appello alla soluzione dei conflitti e condanna azioni e scelte politiche o strategiche maligne. In generale, lavora sempre per la riconciliazione e per una stabilità che resti nel tempo: accompagna i processi in modo che resti uno spazio per la riconciliazione, che attualmente appare sempre più lontana, purtroppo, almeno per la generazione presente. Per questo il Papa parla chiaro, dicendo che questa non è un’«operazione militare» – come Putin vorrebbe che si dicesse – ma una vera e propria «guerra», un’«inaccettabile aggressione armata», frutto di miopia strategica. Ma, d’altra, parte chiede di puntare «veramente e decisamente sul negoziato» tra le parti, mettendosi a disposizione, se dovesse servire. L’alternativa al negoziare sembra una violenza senza fine.
Il Pontefice si è anche soffermato sul fatto che a pagare è la povera gente, come sempre. Dopo l’Angelus del 27 febbraio aveva detto: «Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere». Dunque «si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra. Penso agli anziani, a quanti in queste ore cercano rifugio, alle mamme in fuga con i loro bambini…». Ed è questo che ci fanno vedere tante giornaliste e tanti giornalisti, persone che – ha detto lo stesso Francesco – «per garantire l’informazione mettono a rischio la propria vita», permettendoci «di essere vicini al dramma di quella popolazione».
Certo, di fronte all’orrore dell’invasione è naturale immergersi nelle strategie militari e politiche. Attribuiamo colpe e lodi, soppesiamo cause e giustificazioni, e dividiamo il mondo in amici e nemici. Noi oggi però siamo chiamati a meditare anche sul fatto che ciò che distrugge sia gli amici sia i nemici è la guerra. Dobbiamo concentrarci sul dolore, e occuparci con compassione di tutte le persone le cui vite sono e saranno devastate. Dobbiamo abbracciare il dolore degli ucraini che hanno perso la vita e le loro case, le persone rese profughe che affrontano la separazione dalla loro nazione, dalla loro lingua, da tutto ciò che fa di una nazione una casa. E dobbiamo avvertire il dolore delle famiglie russe, vittime di una guerra che pure le ha divise al loro interno tra fratelli, o tra mariti e mogli, separando amici, esponendole a una grave crisi e al risentimento. Avvertiamo il dolore di chi è inviato allo sbaraglio, e di chi viene arrestato per dire «no» all’aggressione bellica, che in sé che è un crimine contro l’umanità. Il dolore di questa guerra di invasione comprende anche gli effetti della rabbia sul cuore umano: l’incapacità di riconoscere l’umanità delle persone riunite sotto una bandiera diversa. Per questo abbiamo deciso di gridare dalla nostra copertina con Papa Francesco Fermatevi!
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Offriamo questo contributo ai nostri lettori, frutto del lavoro degli scrittori de La Civiltà Cattolica, sapendo che riflettere sulle radici dei problemi e dei conflitti è parte del modo di risolverli. E lo facciamo consapevoli della radicalità dell’appello di Francesco nell’approccio alla politica internazionale, come ha detto in un’udienza del 24 marzo, nella quale ha condannato l’escalation militare e la corsa agli armamenti: «si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri». La vera risposta è un modo diverso di impostare le relazioni internazionali rispetto al modello del «potere economico-tecnocratico-militare».