«Vorrei che le mie esigenze espressive, la mia ispirazione poetica, non contraddicessero mai la vostra sensibilità di credenti. Perché altrimenti non raggiungerei il mio scopo di riproporre a tutti una vita che è modello – sia pure irraggiungibile – per tutti». Scriveva così Pier Paolo Pasolini nel febbraio 1963 a Lucio Caruso, volontario della Pro Civitate Christiana, in una lettera con la quale chiedeva collaborazione alla Cittadella di Assisi per la stesura della sceneggiatura del «suo» Vangelo secondo Matteo.
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L’ispirazione poetica dell’autore friulano, romano di adozione – e come essa in effetti è stata recepita dalla critica, specialmente cattolica – è il filo rosso che attraversa questa nuova monografia della nostra collana Accenti, dedicata appunto a Pasolini, a 100 anni dalla sua nascita (5 marzo 1922 – 2 novembre 1975). Abbiamo scelto di presentare i saggi sulla sua opera nell’ordine in cui sono apparsi su La Civiltà Cattolica. La raccolta è completata da un’Appendice di recensioni di volumi che a vari livelli hanno trattato del poeta di Casarsa.
L’ordine cronologico permette di osservare l’evoluzione dello sguardo della rivista sull’opera di Pasolini; ed è significativo che il primo e l’ultimo articolo che ripubblichiamo si occupino entrambi, con toni e valutazioni del tutto differenti, delle poesie della raccolta La religione del mio tempo. Se per un deluso e disgustato p. Giuseppe De Rosa (1961) è del tutto evidente come Pasolini sia un «poeta mancato», per p. Virgilio Fantuzzi (che scrive questo saggio nel 2015, anche se sulla rivista è apparso postumo) egli «è un poeta che ha detto tutto di sé nelle sue poesie» e ritiene che la parte più alta e profonda della sua opera sia proprio la poesia. La scoperta successiva del cinema fu come una tecnica nuova per esprimere le stesse cose scritte in versi.
Tra questi due punti di vista diametralmente opposti, si trova anche la critica pungente e dettagliata di p. Enrico Baragli a due pellicole di Pasolini, Porcile e Medea. Nel primo caso, p. Baragli accomuna nel suo giudizio il film del poeta al Satyricon di Federico Fellini – presentati entrambi nella Mostra del cinema di Venezia del 1969 – rilevandone la sgradevolezza degli argomenti, i carenti valori artistici e morali, e lo svilimento che vi subisce la dignità umana. Sulla Medea Baragli, dopo averne esposto l’argomento e valutato i valori figurativi ed estetici, indaga i «messaggi» sociologici e religiosi, notando soprattutto l’oscurità dei primi e l’evoluzione dei secondi.
A seguire la rotta del tempo si nota una lunga cesura tra il primo periodo di attenzione della rivista per Pasolini e il secondo, iniziato molti anni dopo la sua morte tragica. Infatti, dopo l’articolo di De Rosa e i due di Baragli, dal 1970 al 1994 La Civiltà Cattolica non ha pubblicato più nulla sul poeta. Un periodo che coincide, dal punto di vista ecclesiale, con la fase più drammatica di elaborazione interna del Concilio Vaticano II. Pasolini riemerge nelle nostre pagine in una nota di p. Fantuzzi, ispirata dall’uscita di alcuni libri, che illustravano aspetti allora meno noti della biografia dello scrittore e regista; aspetti che invitavano a riflettere sulla complessità di un personaggio sul quale erano stati formulati spesso giudizi considerati sbrigativi.
Dopodiché il fuoco dell’attenzione critica di p. Fantuzzi si è immediatamente concentrato sul Vangelo, che in qualche modo ritorna sempre in quasi tutti i saggi successivi. Il primo è stato scritto in occasione della messa in onda e della pubblicazione in dvd dell’edizione restaurata de Il Vangelo secondo Matteo, a 40 anni di distanza dalla sua realizzazione. In un secondo articolo, p. Fantuzzi considera Accattone e La ricotta, assieme a Mamma Roma, le tappe di un cammino che condusse il regista a realizzare proprio il Vangelo. Affascinante, poi la storia e la testimonianza di Enrique Irazoqui, il non-attore che nel 1964, all’età di 19 anni, interpretò il ruolo di Gesù nel film. In un altro saggio, il gesuita indaga il senso del sacro e la sensibilità moderna di Pasolini, che secondo Fantuzzi nel Vangelo «si fondono reciprocamente sotto il segno della poesia».
In mezzo a questa ricca esegesi a puntate del Vangelo, si inseriscono due altri contributi di p. Fantuzzi. In uno ricostruisce, grazie a un documentario di Giuseppe Bertolucci, la lavorazione del film La Rabbia. Un’opera cinematografica che alla fine lasciò insoddisfatti del risultato complessivo sia Pasolini che Guareschi, l’altra «voce» del progetto. Nel secondo si parla della madre di Pasolini, Susanna Colussi – che interpretò Maria nel Vangelo – la quale, all’insaputa di tutti, trascrisse in una sorta di romanzo i suoi ricordi familiari, che il figlio non lesse mai.
A concludere la prima parte del volume, il saggio più recente di p. Fantuzzi su Pasolini, quello che menzionavamo all’inizio, che ci aiuta a fare sintesi sulla religione del «suo» tempo. In Pasolini emergono due elementi contrastanti che convivevano all’interno della sua personalità: da una parte una religiosità di tipo istintivo, informe, lontana dalla sistematizzazione dei dogmi del cristianesimo inteso come religione istituzionale; dall’altra, come figlio del suo secolo, non poteva non razionalizzare tutto questo. Di qui le sue forti tensioni interiori e le contraddizioni, che si esprimevano nella vita e nelle opere in un modo provocatorio che però non era disgiunto da una rabbiosa e innata passione religiosa.
Per una rivista come La Civiltà Cattolica risuona forte ancora oggi, proprio in questo centenario, l’intuizione di Pasolini che – a proposito del suo Vangelo secondo Matteo – contrappone le parole di Cristo alla «vita come si sta configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, conformismo, glorificazione della propria identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione».
Con questo volume della collana «Accenti», ormai il ventesimo, vogliamo consegnare nelle mani dei nostri lettori una traccia del lavoro culturale de La Civiltà Cattolica. La differenza di posizioni che gli autori, in epoche diverse, hanno assunto nei confronti dell’opera di Pier Paolo Pasolini testimonia il rovello critico di una rivista viva, capace anche di mutare parere, se necessario, o di approfondirlo meglio. Ma è anche specchio dei tempi che mutano e delle istanze critiche che questo mutare porta con sé.