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Intervento del presidente Paolo Gentiloni, alla presentazione del volume “Nell’anima della Cina”.
Grazie a padre Antonio Spadaro, che per la seconda volta in tempi recenti mi coinvolge in un’occasione di grandissimo interesse, dopo l’evento dello scorso maggio che si inseriva nel solco delle celebrazioni del numero 4000 de La Civiltà Cattolica.Il volume che viene presentato oggi è un contributo prezioso alla conoscenza della Cina; ne parleranno, insieme a padre Spadaro, il presidente Romano Prodi e padre Federico Lombardi, che hanno un’esperienza e una conoscenza in materia ben maggiore della mia.
Io cercherò di soffermarmi sui tratti particolari che possono, sulla base di questo lavoro, avere un certo interesse nel rapporto tra l’Italia e la Cina, tra le visioni dei nostri due Paesi. Abbiamo una storia importante alle nostre spalle: riuscire a creare canali di dialogo e di contatto con la Cina è una sfida che ci accompagna da secoli; saper cogliere l’anima della Cina e dell’Asia, per noi europei, vuole dire compiere un esercizio intellettuale affascinante.
Henry Kissinger, che aveva una certa esperienza di dialogo con la Cina, nel suo saggio sull’ordine mondiale ha ricordato che, fino all’arrivo delle moderne potenze occidentali, in nessuna lingua parlata in questo immenso continente esisteva una parola equivalente ad «Asia». Nessuno dei grandi popoli della regione si considerava parte di un continente unico. Ecco una delle molte differenze fra Europa e Asia. L’Europa è un insieme di popoli stretti all’interno di confini geografici limitati; anche per questo, noi europei abbiamo sempre vissuto con la consapevolezza di un destino comune, sia pure in forme molto diverse. Quella dell’Asia è una realtà differente. Basta osservare con attenzione una cartina geografica. In Asia convivono tre grandi Paesi, come Cina, India e Russia, che potrebbero essere dei continenti a sé e molte altre nazioni che come dimensioni sono paragonabili ai più grandi tra i Paesi europei. L’influenza di spazi così vasti ha plasmato le fortissime identità delle più grandi nazioni del continente asiatico. Le ha rese così uniche e così consapevoli della propria unicità. La geografia ha tenuto per molto tempo separate Europa e Asia, e quando si sono finalmente incontrate, non sempre sono riuscite a capirsi.
L’Europa è arrivata in Cina alla ricerca di nuovi spazi e di nuove opportunità. La Cina, al contrario, per molto tempo è bastata a sé stessa, in un certo senso. Forte di una continuità di civiltà che non ha pari nel mondo e di una posizione di forte predominio nella propria sfera geografica. Ed è proprio partendo da queste differenze tra Europa e Asia che riusciamo a cogliere l’importanza del viaggio dei padri gesuiti italiani nel ‘500 e nel ‘600; un viaggio sul quale il volume de La Civiltà Cattolica si diffonde in particolare nella sezione su «Le figure e la storia», che contiene anche diverse testimonianze interessanti sui cristiani cinesi di quell’epoca. Naturalmente spicca, come veniva ricordato, la figura di padre Matteo Ricci, gesuita marchigiano, tutt’ora molto popolare in Cina, come io stesso ho avuto modo di verificare nei miei quattro viaggi da Ministro degli Esteri e da Presidente del Consiglio. Ricci fu uno dei primi occidentali ad arrivare a Pechino e, soprattutto, il primo a cogliere l’esigenza di costruire il dialogo tra due mondi sulla base del riconoscimento delle rispettive culture. Ricci e i suoi compagni gesuiti scelsero di adattarsi agli usi e ai costumi locali, di assorbire la lingua e la cultura cinese, di dedicare una grande attenzione alla comprensione del sistema cinese e della sua classe dirigente dell’epoca; nutrirono un profondo rispetto per gli alti valori morali di quella società e per gli insegnamenti del confucianesimo. In questo modo, il padre gesuita guadagnò la fiducia della corte cinese, dove si compì il miracolo di un vero incontro culturale fra due mondi, con l’introduzione da parte di Ricci della filosofia, della scienza e della tecnologia dell’Occidente.
Un miracolo simboleggiato, come ricordava prima padre Spadaro, dalla straordinaria Carta geografica completa di tutti i regni del mondo che Ricci realizzò nel 1602 con studiosi cinesi, su richiesta dell’imperatore Wanli. Una mappa nella quale conoscenze geografiche ignote ai cinesi, come l’esistenza dell’America, si combinavano a nozioni geografiche sconosciute agli europei. I padri gesuiti italiani furono capaci di portare la Cina all’interno del nostro mondo. Tra loro Martino Martini, che introdusse in Europa la storia, la grammatica, la geografia della Cina; Prospero Intorcetta, gesuita di Messina, che fu il primo europeo a tradurre le opere di Confucio. L’Italia fu protagonista di un avvicinamento tra due mondi; di un incontro che permise a Oriente e Occidente di crescere e di evolvere, creando occasioni di dialogo partendo dalle rispettive culture e dalle rispettive identità.
Uno straordinario esercizio di soft-power, potremmo dire oggi, che si riallaccia perfettamente a quello che è il ruolo e la funzione che l’Italia può svolgere nello scenario globale nei nostri tempi. A quella che è la nostra vocazione, la nostra propensione al dialogo. L’Italia che si affaccia verso la Cina, oggi come ieri, è un Paese che non si spoglia della propria storia, della propria identità culturale. Questa storia, questa identità culturale riesce a dare agli italiani una forza speciale per dialogare con la civiltà cinese. Italia e Cina, i due Paesi che ospitano il maggior numero di siti patrimonio dell’umanità secondo le graduatorie dell’UNESCO; Italia e Cina, due mondi che si riconoscono reciprocamente e che non cercano di imporre valori ed egemonie, perché sono civiltà troppo antiche per avere questo tipo di ambizione.
Ancora oggi, noi europei continuiamo ad avere bisogno di mappe, di bussole, che orientino il nostro sguardo più ampio sulla Cina e a questo scopo contribuisce questo prezioso volume. Sono molto curioso di ascoltare l’intervento di padre Lombardi, perché nel suo saggio introduttivo, come molti di voi avranno visto, ha applicato al tema delle relazioni con la Cina i quattro principi di orientamento enunciati da papa Francesco nella Evangelii Gaudium: «il tempo è superiore allo spazio», «l’unità prevale sul conflitto», «la realtà è più importante dell’idea», «il tutto è superiore alla parte». Un accostamento davvero affascinante.
La pubblicazione di quest’opera coincide con un momento storico di grande importanza per la Repubblica Popolare Cinese. Il diciannovesimo congresso del Partito Comunista dell’ottobre scorso, pur nella continuità evolutiva che caratterizza da oltre trent’anni i momenti di transizione politica in Cina, non è stato un congresso come gli altri. Due aspetti colpiscono, credo, più di ogni altra cosa. Primo, una chiara prospettiva storica. Secondo, l’atteggiamento fiducioso nei confronti del futuro. Nella visione del presidente Xi Jinping, la Cina andrà lontano perché viene da lontano. La consapevolezza della propria storia costituisce la premessa per affrontare le sfide del futuro. Sappiamo che le trasformazioni che coinvolgono la Cina in questo momento sono davvero gigantesche. La sfida fondamentale, e ho avuto il privilegio di parlarne a lungo anche con il presidente Xi Jinping, è quella di continuare il proprio percorso di espansione economica, evitando l’esplosione delle diseguaglianze sociali. È la sfida di migliorare ulteriormente il tenore e la qualità di vita, per preservare la coesione del tessuto sociale e la proiezione cinese nel mondo. Su questo si concentrano le politiche cinesi di lungo periodo, orientate a creare, come ha affermato il presidente Xi Jinping al Congresso, una società di innovatori. Noi dobbiamo essere consapevoli che il mondo intero ha interesse a un’evoluzione positiva di queste trasformazioni. Perché una Cina riformata, stabile, più prospera, può contribuire in modo più equilibrato alla crescita mondiale e può essere un partner imprescindibile nella governance delle grandi tematiche globali. Per questo, oggi è importante accompagnare questo processo ed essere presenti come Europa e come Italia.
L’Italia ha scommesso sul successo delle trasformazioni in corso in Cina e ha registrato, in questi anni, un riscontro molto positivo; finalmente cominciamo a prendere sul serio il rapporto con questo immenso Paese. Siamo vicini a celebrare i cinquanta anni delle nostre relazioni diplomatiche e la continuità delle relazioni, delle visite, dei rapporti economici, dei rapporti diplomatici, è assolutamente fondamentale. Ascolteremo su questo il presidente Prodi, che credo conosca il rapporto dell’Italia con la Cina come nessun altro e al quale spesso mi rivolgo per avere buoni consigli.
Io vorrei fare un riferimento alla mia esperienza di Governo, relativo al Belt and Road Forum al quale ho partecipato lo scorso maggio, l’incontro dedicato alla grande iniziativa della «Nuova Via della Seta», alla quale la leadership cinese tiene moltissimo.Credo che in quell’occasione siano emersi due messaggi importanti: il primo è la conferma che si tratta di un progetto di forte interesse per l’Italia. La «Nuova Via della Seta» è un’iniziativa nella quale l’Italia può essere protagonista; un’iniziativa che apre grandi spazi di opportunità per il nostro Paese, certamente in modo rilevante per i nostri porti, ma non solo. Il secondo messaggio riguarda l’importanza di una sinergia efficace tra i grandi progetti realizzati in Asia e quelli europei. Oggi, nell’era della connettività, dobbiamo essere consapevoli che per moltiplicare le occasioni di crescita economica abbiamo bisogno che i progetti a dimensione continentale dell’Europa – nel settore dell’energia, in quello delle infrastrutture – siano visti in prospettiva come collegati ai grandi progetti di interconnessione che si sviluppano in Asia.
In conclusione, noi italiani intendiamo relazionarci con la Cina mantenendo quei principi di pluralismo, di tutela dei diritti fondamentali che sono il cuore della nostra Costituzione. La centralità della persona umana e dei suoi diritti è la nostra pietra angolare. Il mito di una efficienza economica che si sviluppi a scapito della democrazia non ci appartiene. Ma, nella differenza fra i nostri due sistemi, cogliamo e dobbiamo continuare a cogliere una tensione comune verso l’esigenza di creare nuovi spazi di opportunità in questa particolare fase storica. Per questo guardiamo con attenzione al dialogo promosso dal Pontefice con il popolo cinese e i suoi rappresentanti, nella consapevolezza che lo sviluppo di questo dialogo può essere di straordinario beneficio per l’Italia, per l’Europa e per l’intera comunità internazionale.
«Il mondo soffre per mancanza di pensiero» scriveva papa Paolo VI nella Populorum Progressio. E nel mondo di oggi, in una società globale come la nostra, abbiamo tutti bisogno di punti di riferimento, di sistemi di valori, di cultura, di identità. Di questo sono coscienti gli stessi leaders cinesi, come dimostra il recupero della tradizione del pensiero confuciano, nell’intento di dare respiro e valido ancoraggio di valori e principi in una società attraversata da trasformazioni così profonde. E dunque l’incontro tra i due mondi propiziato secoli fa dai padri gesuiti, molti dei quali italiani, resta ancora oggi un esempio di come mettendo al centro il rispetto e la curiosità per le rispettive culture e identità, anche distanze e differenze apparentemente incolmabili possono essere superate con successo. Ancora oggi, quell’incontro tra due mondi ci ricorda che Italia e Cina hanno uno straordinario patrimonio di storia su cui basare e far crescere la prospettiva futura dei loro rapporti.