C’è un alone di mistero che aleggia su un nome ricorrente tra gli autori dei libri raccolti nel Nuovo Testamento, quello di Giovanni. Uno dei tanti che si sono cimentati nello studio del quarto Vangelo, mons. Valerio Mannucci, in Giovanni, il Vangelo narrante (1993) riporta una frase attribuita a un gesuita francese: «La prima cosa che domanderò, appena giunto in Paradiso, sarà: “San Giovanni! Ma… il vostro Vangelo, è proprio vostro?”».
Si potrebbe prendere a prestito l’arguzia della domanda ed estenderla un poco su altre questioni parallele. Giovanni, l’evangelista, il «discepolo che Gesù amava», è Giovanni di Zebedeo, l’apostolo, fratello di Giacomo, come da principio la Chiesa ha sempre creduto? Oppure si tratta di un altro testimone diretto, vicinissimo a Gesù, ma fuori dalla cerchia ristretta degli apostoli, come emerge in buona parte della critica più recente? L’autore del Vangelo è uno solo ed è effettivamente identificabile in una persona, o ciò che ci è giunto con la sua firma è una sorta di opera collettiva, espressione di una comunità particolare? E poi: l’autore delle tre Lettere, il «presbitero Giovanni», è lo stesso del Vangelo? E il «profeta» Giovanni dell’Apocalisse – l’unico testo tra questi in cui compare esplicitamente per quattro volte il nome dell’autore – in che relazione è con chi ha scritto il Vangelo e le Lettere?
Ci sono insomma tante domande aperte, alcune delle quali resteranno tali, senza che questo tolga valore e credibilità a questi testi chiave per la fede cristiana. Sebbene nel tempo gli studi abbiano arricchito di elementi un’indagine così affascinante, il mistero sul nome e sull’identità di Giovanni rimane.
Anche questo aspetto ci ha convinto a raccogliere, nel 26° volume della nostra collana monografica, alcuni saggi sul quarto Vangelo e sull’Apocalisse, con un riferimento alle tre Lettere in una delle recensioni in Appendice. Quest’ultima include, appunto, una selezione della sterminata Rassegna bibliografica che la nostra rivista ha prodotto negli anni, e che testimonia quanto la figura di Giovanni o «dei» Giovanni sia stato oggetto di curiosità, studio e attenzione, sin dal II secolo.
Senza poter e voler giungere a conclusioni su un dibattito storico-esegetico che, come risulta evidente, non è terminato, il filo rosso del volume «GIOVANNI», nel solco della più antica tradizione, è dunque semplicemente il nome.
D’altra parte, rileggendo per voi alcune considerazioni che emergono dai saggi che leggerete, ci sembra anche di riconoscere degli elementi che accomunano il Vangelo all’Apocalisse. L’autore del quarto Vangelo, infatti, non fornisce particolari solo di tipo descrittivo: ama e predilige il cosiddetto «doppio livello» – realistico e simbolico —, e sappiamo quanto questo sia rilevante nell’ultimo libro della Bibbia. In entrambi i testi c’è un ricco riferimento alle tradizioni di Israele e all’Antico Testamento – nel Vangelo, secondo Simoens, è importante soprattutto il riferimento a Isaia –; e allo stesso tempo traspare il bisogno di trasmettere una confessione di fede, che si traduce anche in una riflessione teologica raffinata, ma per nulla teorica. L’autore dell’Apocalisse, in particolare, lungi dall’essere un teologo astratto, mostra un contatto continuo e articolato con la realtà umana, vissuta nella quotidianità della vita. Gli interessa l’uomo in tutte le dimensioni della sua concretezza. La sua genialità appare nel modo in cui impiega la sua padronanza sia delle lingue greca ed ebraica e delle loro potenzialità letterarie, sia degli scritti veterotestamentari, evocati e allusi con grande abilità, sia delle tecniche comunicative proprie della letteratura apocalittica.
Ecco, con questo spirito di curiosità e contemplazione, vi invitiamo alla lettura di «GIOVANNI».
Felice Di Basilio e Simone Sereni