Nel quarto centenario della nascita del pittore Pietro Bellotti (Roè Volciano, 1625 – Gargnano, 1700), dal 19 settembre 2025 al 18 gennaio 2026 le Gallerie dell’Accademia di Venezia ospitano una mostra dedicata all’artista originario del Garda, ma attivo nella città lagunare per gran parte della sua vita, e intitolata Stupore, realtà, enigma. Pietro Bellotti e la pittura del Seicento a Venezia. Particolarmente felice si è rivelata la scelta da parte dei curatori (Francesco Ceretti, Michele Nicolaci, Filippo Piazza) di inserire le opere di Bellotti all’interno di una rassegna dedicata al Seicento veneto, stagione artistica tanto ricca quanto poco nota al grande pubblico. L’allestimento, infatti, è pensato come un dialogo tra Bellotti e i pittori del suo tempo – da Guido Cagnacci a Nicolas Régnier –, «foresti» come lui, ma tutti in qualche modo legati alla Serenissima sulla scena di un secolo sensibile agli aspetti più stranianti e stupefacenti della realtà.
Ad accogliere chi entra è il pittore «in persona», raffigurato in quella che può essere considerata la firma d’autore dell’intera mostra, il cosiddetto Autoritratto come allegoria dello Stupore (1658 ca.), di recente acquisizione da parte delle Gallerie. L’autoritratto ha la funzione di introdurre immediatamente lo spettatore nel fulcro tematico del percorso espositivo: lo Stupore, in un gioco di rimandi metatestuali, è tanto allegoria dell’arte quanto figura nuova, personificazione di quello «spirito del tempo» barocco che l’artista stesso incarna. L’altro recente acquisto da parte delle Gallerie è l’opera che in qualche modo chiude il ciclo, intitolata Popolani all’aperto (1685-1690 ca.), il cui realismo si contrappone idealmente sia all’impianto allegorico dei dipinti del macabro sia alla cosiddetta «pittura di genere», dal cui registro caricaturale Bellotti si discosta sensibilmente.
Dalle allegorie della meditatio mortis alle scene di vita quotidiana della «pittura della realtà», il Seicento è raccontato in tutte le sue variazioni iconografiche, che riflettono le luci e le ombre di un’epoca segnata da guerre e pestilenze, eppure portatrice di una riflessione sulla condizione umana che tiene insieme speranza e inquietudine, razionalità e apertura al mistero, fede e superstizione. I nuclei tematici, del resto, si ispirano ai caratteri psicologici che popolano i dipinti, figure di repertorio ma eccezionalmente cariche di riflessi emozionali e spirituali che disegnano un percorso esplorativo dentro la stessa soggettività umana. Indovine e vecchi filosofi, merlettaie e pellegrini accompagnano il visitatore lungo il confine sottile tra corporeo e simbolico, sulle tracce di quella dignità – talvolta misconosciuta – che precede ogni razionalizzazione morale o sociale, e che proprio tra gli strati più umili e marginali della società trova la sua dimensione più genuina e originaria.
Pertanto si può affermare che Bellotti, erede della lezione di Girolamo Forabosco, si serve del realismo dei corpi come pura mediazione di quel mistero insondabile che ogni essere umano racchiude. Al pari dei suoi personaggi pensosi e sinceri, nudi e disarmati nella loro mite sfrontatezza, l’opera dell’artista bresciano testimonia come l’ironia, che si accende sui volti e negli sguardi dei soggetti ritratti, non sia altro che la misura di quella consapevolezza e di quella libertà che appartengono innanzitutto ai «poveri in spirito». È forse questo il segreto che l’osservatore è invitato a scoprire nell’enigmatico sorriso di Socrate, il «conosci te stesso» nascosto tra le esigenze formali del topos iconografico a cui pure il pittore obbedisce? Ad ogni modo, è proprio l’ironia, gesto tipico della maieutica ancor prima che del genio barocco, che in Bellotti diventa la cifra non solo dell’arte in quanto tale, come si intravede nelle allegorie del Riso e dello Stupore, ma anche di quella particolare funzione dell’espressione artistica che consiste nel ridare dignità a chi l’ha perduta: funzione, quest’ultima, che si precisa in un’idea di pittura che oggi sembra aver raggiunto l’ora della sua piena e indifferibile leggibilità.