
Sara (Teresa Saponangelo), la protagonista del noir thriller psicologico italiano di maggiore successo di Netflix, è una donna «vera», una donna che si può incontrare per strada senza notarla: capelli grigi non curati, struccata, sempre apparentemente dall’altra parte della strada rispetto a ciò che accade in quel momento davanti ai suoi occhi. In realtà lei si rivela, tra tutti, l’unica in grado di osservare e comprendere gli eventi e le persone con acutezza e precisione, anche grazie alla sua eccezionale capacità di leggere il labiale a distanza.
Autoreclusa nel suo passato, nel grande amore vissuto anima e corpo con il capo Massimiliano, morto sul campo, nel suo rigore e coraggio Sara, che ha lasciato il figlio di sette anni senza voltarsi indietro e da allora non lo vede più, è riportata alla «vita attiva» e lavorativa proprio dalla telefonata che le annuncia la morte di quel figlio, sembra, per suicidio. Ma l’indagine sulle circostanze della sua scomparsa è il click per un à rebours nei rapporti professionali, lei ex agente dei servizi segreti e privati. Trascinata di nuovo nel vortice delle indagini, parte alla ricerca della verità, che inevitabilmente la porta a confrontarsi con i fantasmi del passato. Così facendo, torna a vivere.
Sara è una figura di investigatrice non di azione, ma di osservazione e di pensiero; di donna coraggiosa e madre complessa, molto originale nel panorama del crime italiano, nata dalla penna di Maurizio De Giovanni, che conosciamo autore di personaggi di successo come Il Commissario Ricciardi, Mina Settembre e I bastardi di Pizzofalcone.
L’invisibilità autoimposta della protagonista come arma per esercitare un controllo solido e tacito sulla sua vita «di clausura» lentamente si sgretola nel rapporto che pian piano si viene a costruire con Viola (Chiara Celotto), la compagna fotografa del figlio, incinta di otto mesi, grazie alla quale il lato materno, e più schietto, di Sara rivive.
Anche i suoi ex e nuovi colleghi compongono un quadro radicato in una Napoli dai toni freddi, fra i temi dell’attualità (il nucleare e gli immigrati) e degli intrighi della politica (la Roma corrotta e «nera»). Non c’è sbavatura didascalica; si resta sempre all’interno di una narrazione asciutta, sobria e di qualità, sostenuta dalle doti interpretative di un cast di altissimo livello: dall’ambiguo Massimo Popolizio (Corrado Lembo) all’incisiva Claudia Gerini (la sua ex collega e vecchia amica Teresa); da Pippo Mezzapesa (Enrico Vigilante) a Flavio Furno (Pardo) e Giacomo Giorgio (Ciro Musella).
Ma il cuore della vicenda è il «romanzo interiore» della protagonista, la sua metamorfosi psicologica e affettiva, da reclusa in una torre di cristallo a donna austera, ma capace di empatia, emozione e perdono. Di sé stessa innanzitutto, perché Sara si è privata della vita, autoinfliggendosi una sorta di punizione severa, a scudo, improbabile, dal lutto e dal dolore che l’aveva colpita. La riattivazione delle indagini, anche se «nell’ombra», cioè in assenza di un ruolo ufficiale e di una divisa, la porta ad attraversare le fratture irrisolte della propria vita. Pertanto è nei silenzi, nelle pause, nei «fermo immagine interiori», negli sguardi razionali ma mai asettici che risiede il segreto del personaggio, che si interroga in modo assoluto, profondo e costante sul proprio ruolo di donna, investigatrice, giustiziera a tratti, e naturalmente di essere umano.
Lontana dal cliché del thriller d’azione, la Sara di Teresa Saponangelo è tanto tagliente e schietta nel suo rapporto con i colleghi quanto duttile nella sua abilità di mostrare in modo estremamente naturale la costante instabilità e imperfezione delle vicende personali, come il dolore, la consapevolezza del tempo che passa, le asprezze e fragilità caratteriali. Grazie all’arte delle sfumature, della palette umana del personaggio, cattura lo sguardo dello spettatore, immergendolo dentro il personaggio. Il tutto inserito in un gioco narrativo di squadra, supportato da una drammaturgia incisiva ed efficace, grazie allo stesso regista di Mare Fuori, Carmine Elia.