Tra i più iconici fotografi del XX secolo, il newyorkese Rodney Smith (1947–2016) è il protagonista di questa prima grande retrospettiva italiana, realizzata in collaborazione con diChroma photography, società specializzata in esposizioni internazionali itineranti dedicate alla fotografia. La direttrice, Anne Morin, ha curato, oltre a questa in particolare, anche numerose altre mostre di fotografi e artisti prestigiosi, tra cui Vivian Maier, Robert Doisneau, Jessica Lange.
Gli oltre 100 scatti, realizzati in analogico e con luce naturale, senza ritocchi digitali, seguono un ordine tematico sviluppandosi in sei sezioni: La divina proporzione, Gravità, Spazi eterei, Attraverso lo specchio, Il tempo e la permanenza e Passaggi. Il bianco e nero è la cifra stilistica di Smith: «C’è molto più colore nel bianco e nero di quanto non ve ne sia nel colore». L’artista infatti ha iniziato a utilizzare il colore solo dal 2002.
Nella fotografia di Smith emergono forti parallelismi con la tradizione cinematografica; in particolare essa rimanda all’opera di Hitchcock, Anderson e a leggende del cinema muto come Charlie Chaplin. Molti scatti ricordano la pittura surreale di Magritte assieme a un senso dell’immagine prospetticamente classico, che richiama la pittura rinascimentale di Paolo Uccello, Piero della Francesca e del Mantegna.
Smith è conosciuto soprattutto per il legame con il mondo della moda, ma qui si vogliono svelare anche altri aspetti della sua ricerca personale, dove trovano spazio domande importanti sulla vita, avvalorate anche dal suo interesse per gli studi religiosi. La fotografia quindi diventa un mezzo attraverso cui trovare risposte. La costruzione quasi scenografica di ogni fotografia rispecchia l’intento dell’artista di trovare la perfezione nell’ordinario, come un «nuovo Cartesio» che tramite il pensiero ordinato riesce a raggiungere il divino.
Le fotografie di Smith sembrano scattate in un tempo indefinito, senza riferimenti temporali e di spazio precisi: «Le mie foto, sono molto più di quanto possano sembrare. Sono oscure e piene di metafore». I protagonisti dei suoi scatti, modelle e modelli di fiducia, sfidano le leggi della gravità, con pose quasi surreali. Sembrano farci l’invito di concederci, per una volta, di fare quello che ci piace, senza quegli auto-ostacoli che a volte noi stessi ci creiamo.
Smith ci accompagna in questo suo mondo onirico, dove non c’è spazio per il pessimismo o la solitudine. Anche gli scatti degli ambienti, che per certi versi possono ricordare le pitture del danese Hammershøi – protagonista di un’altra bella mostra, sempre realizzata a Palazzo Zabarella: Hammershøi e i pittori del silenzio tra il nord Europa e l’Italia (dal 21 febbraio al 29 giugno 2025) –, sono caratterizzati da una luce «calda», che non dà senso di inquietudine, ma di una presenza costante e nascosta, di un vuoto che non è mai tale.
Nella nostra era dei social e del «tutto e subito», sicuramente Smith lascia allo spettatore una profonda riflessione: «Per tutti voi che vi affannate a realizzare fotografie, la vostra vita non può essere solo un insieme di immagini. Le immagini sono i sintomi, i riflessi della vita. È ciò che avete dentro che fa di voi dei fotografi, non il semplice gesto di scattare una foto. È una lotta per la vita. Il talento sta nel trovare il proprio modo». L’augurio è quello di riuscire a trovare la bellezza nel quotidiano e il modo originale di vedere il mondo.