
Lo sguardo del pugile Mike «Irish» Flannigan (Michael Pitt) pare perso nel vuoto. Sembra fissarsi più volte su un punto non visibile. Solo lui sa di avere un grave danno vascolare alla testa. Qualsiasi pugno incassato può essergli fatale… Riuscirà a restare in piedi fino al gong finale?
Il giorno dell’incontro è l’opera prima da regista dell’attore Jack Huston (nipote del grande John, autore di capolavori come La regina d’Africa e Città amara – Fat City). Il film prende ispirazione dal primo cortometraggio documentario di boxe di Stanley Kubrick del 1951. Ne condivide il titolo originale (Day of the Fight), il tema pugilistico e, soprattutto, il bianco e nero straniante e straordinario (fotografia evocativa di Peter Simonite). Narra la storia del fantomatico ex campione dei pesi medi Mike «Irish» Flannigan nella Brooklyn di fine anni Ottanta. Inizia mostrando Mike che si sottopone, di primo mattino, a un allenamento massacrante sulle note struggenti di Crucify Your Mind («Crocifiggi la tua mente») di Sixto Rodriguez.
Tra flashback e flashforward, scopriamo che «the Irish» è stato un campione mondiale e che, proprio all’apice del successo, è caduto nell’abisso dell’alcolismo, perdendo tutto. Dopo un omicidio colposo perché guidava in stato di ubriachezza, lo hanno abbandonato la famiglia, la fama, il denaro e la gloria. Ha trascorso quasi 10 anni in carcere e ora sta per tornare sul ring del leggendario Madison Square Garden newyorkese. Questa forse è la sua ultima chance per rialzarsi, nonostante una colpa incancellabile.
Prima dell’incontro, Mike si aggira per i vicoli e la povertà della Brooklyn anni Ottanta, tra disgraziati, volti segnati dalla vita, forse tossici, forse piccoli spacciatori. Tenta di riallacciare i rapporti con la ex moglie Jessica (Nicolette Robinson), con la figlioletta Sasha (Kat Elizabeth Williams), con l’amico sacerdote Patrick (John Magaro) e con il padre Tony (Joe Pesci), un tempo violento, ora affetto da Alzheimer.
Mike dà un pacchetto di sigarette a un vecchio conoscente nero, che ora vive per strada. Lascia, senza essere visto, mance da 100 dollari a un’amica in una tavola calda e a un musicista incontrato in metropolitana. Infine si sottopone a un ultimo allenamento con il coach Stevie (Ron Perlman). Nessuno pensa che Mike possa vincere il match dopo essere stato tanti anni lontano dal ring. I bookmaker lo danno 40 a 1… Lui però scommette i pochi dollari che gli sono rimasti su sé stesso; darà la ricevuta all’ex moglie: «Dovessi vincere, voglio che la somma sia tua e di Sasha!». Anche sul ring lo vedremo rialzarsi, gli zigomi spaccati, il sangue scuro sul viso bianchissimo. Il suo sguardo resta rivolto a un «altrove». Tra indecifrabili illusioni e tangibile dolore, dura realtà e allucinazione a occhi aperti, l’irlandese Mike incarna l’uomo che cerca riscatto nella vita e sul quadrato, che, per un pugile, spesso coincidono.
Huston realizza un potente dramma sportivo, intenso, sentito e spiazzante. In bianco e nero, solo qualche lampo di colore. Utilizza la boxe come metafora per raccontare una vita che pare finita per sempre e che invece (forse) ricomincia. Mike si aggira per una decadente New York in cerca di redenzione, l’unica via per tornare a «esistere». Tenta di riallacciare i fili dei legami più o meno importanti dell’arazzo della sua vita.
Il suo vagabondaggio per strade e vicoli della Grande Mela è impastato di tentativi di «fare del bene» secondo le possibilità che la vita gli ha lasciato: parlare con i «dimenticati», a cui allunga un pugno di dollari o pacchetti di sigarette; lunghi dialoghi con gli affetti più grandi, perfino con il padre un tempo manesco.
Mike ha raggiunto la cima, è crollato sotto la sfortuna, schiacciato dall’alcolismo. Ha visto il suo lato più buio, e ora tenta di risollevarsi ancora una volta. Come ci ha insegnato il campione – non solo sportivo – Muhammad Ali: «Dentro a un ring, oppure fuori, non c’è nulla di sbagliato nell’andare al tappeto. È restare al tappeto senza rialzarsi che è sbagliato».