
«Nel mezzo del cammin di nostra vita», per dirla con il Poeta, è situato il nuovo album del cantautore romano Daniele De Gregori, intitolato Bolla occidentale: «È un lungo viaggio questo, e potrei trovarmi più o meno a metà. Nella prima sono stato figlio, nella seconda sarò figlio e padre […]. Tra 2 giorni compio 40 anni, tra 2 mesi diventerò padre» (libretto cd). Undici canzoni che raccontano sprazzi di una generazione, quella dei Millennials, che si trovano tra un passato vissuto in analogico e un presente in digitale, un limbo che si rispecchia anche negli arrangiamenti dei brani che, se mantengono l’impostazione classica cantautoriale, tuttavia sono intrisi di elementi di elettronica che conferiscono loro sonorità contemporanee.
La canzone iniziale, che dà il titolo a tutto l’album, «Bolla occidentale», tratta di un malessere che è divenuto molto presente negli ultimi anni, soprattutto nel mondo occidentale: uno stato depressivo, non tanto quello clinico quanto quello che rimane nascosto dietro l’avere tutto e che inibisce ogni desiderio. La prima strofa ne descrive alcuni aspetti: La paura della fine / Essere in salute, bene o male / Le aspettative / La vita rituale / Dormire troppo e non lavorare / Sentirsi fortunati / La bolla occidentale. Il testo di questa strofa gioca sulla contrapposizione del doppio – morte-salute, bene-male, aspettative-ritualità –, enunciando elementi che non hanno più l’energia che spinge l’uomo a essere vitale.
Nell’epoca del tutto e subito, dell’annullamento delle distanze geografiche, di un pensiero totalmente egocentrico e falsamente onnipotente, ci si accorge di Voler diventare altro / Non avere in mente altro: una condanna esistenziale che, da una parte, illude di eliminare i propri limiti e, dall’altra, crea un desiderio costante e irrisolvibile verso ciò che non si può mai completamente possedere.
Un’altra canzone, che fa da pendant al brano introduttivo, si intitola «Quadricipiti» e tratta il tema della fragilità. A ben vedere, anche questo aspetto umano è totalmente messo in disparte dalla società contemporanea, la quale, soprattutto attraverso i vari social che invadono prepotentemente le vite dei giovani, tende solo a mostrare canoni di bellezza estremi, fatti di apparenza, sorrisi inespressivi e obbligati. In questa canzone, dedicata a un suo amico scrittore, De Gregori afferma che servono quadricipiti più resistenti / per il peso dei troppi ricordi, ossia un allenamento non tanto fisico quanto emotivo per affrontare la sofferenza, il dolore e l’errore. L’essere umano, dunque, si accorge non solo di essere composto da tendini e muscoli – in greco, si potrebbe dire sōma –, ma di possedere un animo, psychē, abitato da una complessità emotiva, che troppo spesso viene dimenticata nella nostra società, che tende sempre a essere dualistica e separatrice.
Il tempo che passa è invece il tema del brano «Enza e Rocky», i nomi della nonna di Daniele e del suo cane, presso la cui casa il cantautore ha trascorso il tempo della fanciullezza, che nel ricordo diventa ancora più nostalgico e potente: E sulle vecchie persiane / adesso passano stagioni nuove / I ragazzini del parco / vengono a darci un taglio / È già arrivato il tempo / di fare posto a qualcun altro. De Gregori avverte uno iato nel passaggio dalla giovinezza all’età adulta, una presa di coscienza che qualcosa della propria vita è andato irrimediabilmente perduto e di cui rimangono profondi ricordi.
Questi sono alcuni spunti di riflessione che nascono dall’ascolto del nuovo album del cantautore De Gregori, il quale possiede un modo di scrivere poetico e, allo stesso tempo, realistico e incisivo. Attraverso le sue parole, spesso autobiografiche, e la sua musica si intraprende un viaggio fatto di domande e interrogativi sulle generazioni che si avvicendano, sui cambi antropologici dovuti a una società sempre più veloce e ipertecnologizzata, e sui sentimenti propri dell’essere umano che, sebbene rimangano sempre gli stessi, spesso fanno fatica ad avere quel respiro e quello spazio di profondità che meriterebbero.