
La globalità è una caratteristica che tendenzialmente si attribuisce al mondo odierno, dove i confini culturali e non si assottigliano sempre più; eppure la mostra Barocco globale. Il mondo a Roma nel secolo di Bernini, curata da Francesco Freddolini e Francesca Cappelletti, ricorda che già secoli addietro Roma fu crocevia di persone.
Protagonista è la Roma del Seicento, all’epoca di Paolo V Borghese, pontefice che diede valore a personalità e culture straniere, per cui, tra ambasciatori, missionari e collezionisti, la città è dichiaratamente punto di approdo e partenze. La mappa realizzata da Matthäus Greuter, che accoglie e orienta il visitatore nella Roma barocca, è affiancata da un «accompagnatore» speciale: il busto dell’ambasciatore del Congo, Antonio Manuel Ne Vunda, il cui viaggio per Roma fu pieno di ostacoli.
La mostra utilizza un doppio registro di narrazione: realtà e immaginazione, allo scopo di dimostrare quanto il contatto con l’ignoto, lo stravagante, sia poi uno stimolo alla creatività. Ascoltare, infatti, chi è diverso da noi è la vera opportunità di crescita che si ha; è occasione di domande, confronti ed empatia. Certe tematiche iconografiche, scelte stilistiche, sperimentazioni materiali (come i paramenti in piume di uccello) non sarebbero state possibili senza l’incontro con culture più o meno remote.
Valicare i confini, stabilire un contatto, costruire dei ponti è peculiare dei gesuiti, che infatti, quali maestri dell’inculturazione, sono tra i protagonisti di questa mostra. Athanasius Kircher per l’Egitto, Alonso de Ovalle per le Americhe, Nicolas Trigault e Matteo Ricci per la Cina, hanno dialogato con il mondo: un contatto che essi hanno espresso anche attraverso la raccolta di opere d’arte, che divengono strumento d’inculturazione. L’opera dei missionari e la loro capacità di raccontarla con spirito di pace e convivenza hanno permesso all’Europa di riconoscere il fascino delle culture più remote.
È interessante il caso, portato in mostra, dell’immagine della Salus populi romani, icona a cui la città di Roma è particolarmente affezionata, custodita presso la basilica di Santa Maria Maggiore. Nel 1569 papa Pio V concede al Generale dei gesuiti, Francesco Borgia, la riproduzione di questa immagine durante le missioni; così nasce la Madonna col Bambino di un ignoto pittore cinese, qui esposta. Questa icona viene ripensata e modulata con i caratteri asiatici, utilizzando una tecnica propria, dipingendo sulla seta. È lecito allora chiedersi quanto sia importante, in particolare per le immagini sacre, il fatto che vengano realizzate pensandole «dialoganti» con chi le osserva. Quanto l’artista debba tener conto del contesto e dei destinatari dell’opera. Quanto, nell’incontro di realtà diverse, sia necessario abbandonare il proprio registro di comunicazione e lasciare che sia tradotto e interiorizzato con nuove parole, segni e gesti. Cedere un’eredità culturale, spesso identitaria, a nuovi occhi e sotto una nuova luce è un gesto di inclusione e generosità, non privo di difficoltà.
Di questo dialogo pacifico, di uno scoprirsi vicendevole tra culture diverse, sono testimonianza le opere dell’intero percorso. Tra fiori, animali, usi e costumi diversi, ci si meraviglia e stupisce con l’entusiasmo del viaggiatore che scopre i molteplici volti del mondo. Questa mostra sposta il proprio centro: la carta geografica realizzata da Matteo Ricci e Li Zhizao, con la Cina al centro, ad esempio, ne è un monito. Uscire fuori dai propri confini, esteriori e interiori, cambiare visione del centro, spostarsi per vedere il nuovo è lo sforzo che il Signore chiede continuamente di fare, cambiando prospettiva, baricentro, ed esplorando. Afferma san Paolo: «Comportatevi saggiamente con quelli di fuori, cogliendo ogni occasione» (Col 4,5) per riconoscere Cristo in tutti. Barocco globale è così l’immagine dell’incontro, di distanze che si accorciano, di ricchezza, di fatiche e di conquiste, di pace e di dialogo.