Artista visionario, Alphonse Mucha è uno dei simboli dell’Art Nouveau, movimento che tra l’Ottocento e il Novecento rivoluzionò l’arte e il design europeo. Nato a Moravia, nell’attuale Repubblica Ceca, trasformò la decorazione in linguaggio espressivo, elevandola a simbolo di un’estetica raffinata e armoniosa, che ancora oggi incanta per eleganza e sensualità.
La mostra, curata da Elizabeth Brooke e Annamaria Bava, con la direzione scientifica di Francesca Villanti, presenta l’artista che, attraverso i suoi celebri manifesti teatrali, pannelli decorativi, calendari e illustrazioni, esprimeva un quotidiano che diventava straordinario attraverso l’arte: tutto questo dall’infanzia in Moravia agli anni parigini, che lo resero famoso. Proprio nella capitale francese nacque la sua leggenda con il decisivo incontro, nel 1894, con Sarah Bernhardt.
Le opere di Mucha sono un trionfo di linee sinuose, colori delicati e figure femminili idealizzate. Le sue donne – spesso raffigurate come muse o allegorie – incarnano la bellezza, la natura e la spiritualità. I motivi ornamentali, ispirati al mondo vegetale e alla geometria naturale, si intrecciano con influenze bizantine e simboliste. Questo linguaggio visivo, in cui arte e decorazione si fondono, divenne il marchio distintivo dell’Art Nouveau, presente a Roma in modo particolare nell’affascinante quartiere Coppedè, che sembra uscito da una favola o da un film, ed è conosciuto anche come «il quartiere delle Fate».
Realizzato tra il 1915 e il 1927 dall’eclettico architetto e scultore fiorentino Gino Coppedè, da cui prende il nome, il quartiere è un insieme di 26 palazzine e 17 villini, tra la via Salaria e la via Nomentana, che stupiscono e incuriosiscono i passanti. La zona è un vero «museo a cielo aperto», dove ogni facciata, ogni androne sono arte che raccontano lo stile di un’epoca. E da poco un convegno, un concerto della Fanfara di Stato e un’esposizione di auto storiche hanno ricordato i primi 100 anni di questo luminoso esempio dell’Art Nouveau che sembra proprio far da cornice, un’estensione «in uscita» della mostra di Palazzo Bonaparte.
Dopo aver studiato a Monaco e poi a Parigi, l’artista si immerse nella vibrante atmosfera artistica della capitale francese di fine secolo, popolata da pittori, scrittori e musicisti. Iniziò lavorando come illustratore per riviste e pubblicità, ma il successo arrivò in modo inatteso nel 1894, quando la celebre attrice Bernhardt gli chiese di creare un manifesto per l’opera Gismonda. Il risultato fu sorprendente: una figura slanciata, eterea, circondata da decorazioni floreali e motivi dorati. Il pubblico parigino rimase affascinato da quel nuovo stile, tanto che da quel momento il nome di Mucha divenne sinonimo di modernità, e il suo stile conquistò immediatamente tutti. Fu l’inizio di una collaborazione che avrebbe visto la creazione di numerose altre opere d’arte, consolidando ulteriormente la reputazione di entrambi nel mondo dell’arte e del teatro.
Da quel momento l’artista divenne il simbolo della Belle Époque grazie alla sua innovativa percezione dell’immagine femminile nell’arte, tra sogno e realtà, trasformandola nella figura centrale di un linguaggio decorativo ispirato a grazia e forza. Questo non sarebbe stato possibile senza l’impatto dell’icona rivoluzionaria Bernhardt.
Per Mucha, l’arte non doveva limitarsi ai musei, ma entrare nella vita quotidiana. Così egli creò poster, calendari, pannelli decorativi, gioielli, mobili, e perfino disegni per vetrate. La sua visione era quella di «un’arte accessibile», capace di elevare lo spirito e di unire estetica e funzione. Tuttavia, dietro la grazia delle sue composizioni si nascondeva una profonda ricerca spirituale e patriottica. Dopo gli anni parigini, Mucha tornò in patria per dedicarsi a un progetto monumentale: L’epopea slava, un ciclo di 20 grandi tele che celebrano la storia e la cultura dei popoli slavi.
Nella stanza immersiva «I fiori di Mucha», a Palazzo Bonaparte, il visitatore ha la possibilità di compiere in prima persona un’esplorazione in 3D, camminando e muovendosi, entrando in contatto con «le donne di Mucha» con tutti e cinque i sensi, e così danzare nella poesia di una bellezza soprannaturale, potente, oltre che elegante e raffinata. L’eredità dell’artista è nel suo essere un «poeta visivo», che dalla decorazione ha celebrato l’armonia della natura e, attraverso il femminile, l’amore per la vita.