Colleferro, nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020: urla, spintoni e pugni e calci mortali in strada; infine un corpo quasi esanime sull’asfalto, mentre un carabiniere fuori servizio (Francesco Di Leva) grida dalla finestra di casa sua: «Fate silenzio! Cosa succede?! Oh, ma che avete fatto?». Il corpo morente ritrovato sulla strada è quello di Willy Monteiro Duarte (1999-2020), giovane di origini capoverdiane, che lavorava come aiuto cuoco in un ristorante e ambiva a diventare chef. Il ragazzo, intervenuto per cercare di difendere un amico e sedare la rissa, è stato ucciso dalla furia cieca e dai colpi MMA (arti marziali miste) dei fratelli gemelli Bianchi. Una tragedia che ha scosso il Paese e che dopo vari gradi di giudizio si è conclusa con la condanna all’ergastolo per Marco Bianchi, a 28 anni di reclusione per il fratello gemello Gabriele e a 21 anni per i due amici coinvolti.
Il film 40 secondi, di Vincenzo Alfieri, tra le opere più dolorose e destabilizzanti della recente Festa del Cinema di Roma e ora nelle sale per Eagle Pictures, ricostruisce in forma di fiction, attraverso continui flashback e flashforward, a più voci e più sguardi, la realtà delle ultime 24 ore della vita di Willy e degli altri ragazzi e ragazze di Colleferro presenti quella notte. Prende spunto dal libro omonimo della giornalista Federica Angeli, il cui sottotitolo è La luce del coraggio e il buio della violenza (Milano, Baldini + Castoldi, 2022), e si svolge soprattutto nelle ore che precedono la rissa che porterà all’omicidio. Mostra la vita quotidiana di Willy, dei suoi amici e di quelli che diventeranno carnefici, spettatori, alcuni divertiti dallo «spettacolo» gratuito del male, altri vittime.
La potenza del film risiede nei giovani attori protagonisti (molti gli esordienti), tutti convincenti volti «da cinema», e nella regia (la macchina da presa nervosa, sempre in movimento), che restituisce, in crescendo, la tensione, la rabbia repressa e l’aggressività bestiale di un viaggio al termine dell’umanità.
Tutti i personaggi dell’opera hanno nomi diversi da quelli dei veri attori della vicenda – i gemelli Marco e Gabriele, ad esempio, diventano Lorenzo e Federico –, tranne Willy, che nel frattempo è diventato un vero simbolo, un’icona di ribellione all’odio, esempio di azione radicale e contraria alla banalità del male. Il suo sorriso bianchissimo – oggi ritratto in molti graffiti e murales – diviene uno sberleffo in faccia alle tenebre.
40 secondi riesce a immergerci efficacemente nella realtà di periferia dei ragazzi protagonisti, dei carnefici e della vittima. La divisione tra «buoni» e «cattivi» è netta, come a volte avviene nella realtà e come accadde davvero quella notte buia di violenza estrema: Willy (perfetto l’esordiente Justin De Vivo) è un ragazzo nero gentile, un talento per la cucina. Quando a casa prepara un piatto alla sorella impaziente, osserva: «Sorella, l’arte c’ha bisogno de’ tempo!». Arte e bellezza richiedono fatica, impegno, dedizione e sudore, cose che il ragazzo cercava di mettere in pratica nella vita, prima che gli venisse tolta, in appena 40 secondi, dalla follia omicida e dai colpi mortali infertigli dai due gemelli eccitati, esaltati e alterati per la droga (bravi gli attori Luca Petrini e Giordano Giansanti). Alla Festa del Cinema di Roma 2025 l’intero cast ha infatti ricevuto il Premio speciale della giuria.
40 secondi è un’opera intensa, spiazzante, a tratti struggente; mette a fuoco l’abisso tra la periferia incattivita e strafatta e quella umana e tenace. Fa mancare improvvisamente l’ossigeno a chi la guarda.
Willy è stato barbaramente ucciso, perché cercava di salvare un amico e di fermare la violenza sanguinaria del branco; incarna l’eccezionalità del Bene nel buio contemporaneo, che da marginale si è fatto sempre più diffuso. Ma, come dice Gesù: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» (Mt 10,28).