La solitudine è un tema su cui conviene interrogarsi. Cerco di evitarla, la temo? Mi rendo conto dell’aiuto e delle ricchezze che può offrirmi? In effetti dovremmo avere nei suoi confronti un atteggiamento più positivo, piuttosto che escluderla dalla nostra vita. Abbiamo ancora più paura della solitudine quando non l’accogliamo e la respingiamo. Il processo che ci porta a farla nostra è graduale, prevede passi avanti e passi indietro.
La solitudine è un fenomeno molto ampio e multiforme: su di essa possiamo riflettere dal punto di vista della filosofia, della teologia, della psicologia, della medicina, dell’antropologia e così via. In essa possiamo anche vedere qualcosa di negativo o di positivo, una nemica o un’alleata. Questo articolo vuol essere un contributo affinché la solitudine smetta di apparire come un mostro spaventoso e si riveli una compagna benefica e feconda nelle tappe della vita.
Che cos’è la solitudine?
Esistono svariate definizioni della solitudine. Ewald W. Busse vede in essa «la coscienza di non avere un’integrazione significativa con altre persone o gruppi, la consapevolezza di essere escluso dal sistema di opportunità e ricompense a cui partecipano altri»[1].
I filosofi parlano di una solitudine ontologica: il fatto che nasciamo soli fa sì che la solitudine ci accompagnerà sempre, dal momento che nemmeno la convivenza con un partner per tutta la vita ci fa smettere di essere una persona singola e separata.
Carl Rogers, fondatore della psicologia umanistica, propone due definizioni illuminanti. Nell’articolo «Ellen West e la solitudine»[2] esamina in maniera lucida e profonda il caso di una donna suicidatasi perché non aveva ricevuto un adeguato sostegno terapeutico, e definisce la solitudine e le sue cause in questi due modi:
1) «È l’allontanamento che la persona ha da sé stessa, dalla sua esperienza reale». Ciò accade quando il corpo dice una cosa («Sono arrabbiato») e la mente ne dice un’altra («Un buon padre non deve arrabbiarsi e dare cattivo esempio») e si decide di respingere la prima. Quando qualcuno nega ciò che effettivamente sta provando, non è con sé, quindi avverte una solitudine, perché non sa accompagnarsi e ascoltarsi. È una solitudine che produciamo in noi, perché facciamo spazio a ragioni o ideali irriflessi.
2) «È l’assenza di almeno una relazione interpersonale in cui la persona possa comunicare ciò che in verità è e sente e di cui necessita». In altre parole, la solitudine si produce quando l’individuo non ha chi lo accetti e lo ascolti senza condizioni,
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