
Michael Schöpf è nato in Germania ed è entrato nella Compagnia di Gesù nel 1989. È fratello gesuita. Nel 1993 si è laureato alla Hochschule für Philosophie München. Tra il 1993 e il 1997 ha lavorato in Africa con progetti per i rifugiati in Kenya, Tanzania, Uganda e Ruanda. Ha collaborato con Misereor, con la Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale tedesca e con Jesuiten Weltweit, l’ente dei gesuiti tedeschi per la solidarietà internazionale. Nel 2005 è entrato a far parte del Jesuit Refugee Service (JRS) – Europa, nella sede di Bruxelles, dove ha ricoperto il ruolo di vicedirettore regionale fino al 2008, e in seguito quello di direttore regionale fino al 2014. Nel 2021 ha cominciato a lavorare a Roma, nell’Ufficio internazionale del JRS, occupandosi di pianificazione strategica, sviluppo organizzativo e advocacy a livello globale. Dal 1o settembre 2023 è il direttore internazionale del JRS. Nell’intervista che ci ha concesso, egli passa in rassegna le origini del JRS e il lavoro che svolge attualmente, in un contesto particolarmente difficile, dove, nonostante tutto, siamo chiamati a essere testimoni di speranza. Inoltre, ci lascia una questione pregnante e di grande attualità: «Vogliamo vivere in una società segnata dall’incapacità di riconoscere la dignità umana e dal rifiuto di accettare i legami che ci uniscono agli altri?». Ringraziamo fratello Schöpf e siamo lieti di condividere con i lettori la nostra conversazione.
Fratello Michael Schöpf, dopo due anni come vicedirettore, Lei ha assunto l’incarico di direttore internazionale del «Jesuit Refugee Service» nell’estate del 2023. Può condividere con noi il percorso che ha fatto negli anni precedenti ai suoi incarichi a Roma?
Sono un fratello gesuita, proveniente dalla Germania, dalla Provincia dell’Europa centrale. Ho iniziato a lavorare per la prima volta con il JRS nel 1993. I miei primi incarichi sono stati tutti in Africa, ma non sapevo nulla né dell’Africa né dei rifugiati. Era il tipico incarico assegnato da un Provinciale per un primo periodo di formazione.
Così iniziai a lavorare a Nairobi in un programma per promuovere l’indipendenza economica dei rifugiati provenienti dai Paesi confinanti in guerra civile. Avevamo circa 30 piccoli progetti sparsi nelle aree più povere di Nairobi e un negozio. Quando arrivai, ero molto curioso e devo dire che mi sentii subito a casa. Scoprii che era davvero facile fare la differenza. Ricordo, per esempio, una donna ruandese sulla quarantina: era fuggita dalla violenza nel suo Paese ed era un’ottima panettiera, ma
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