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Quale ruolo è stato conferito a Maria nell’unità della Chiesa? La domanda è molto ampia e la risposta comporta molteplici risvolti. L’ecumenismo invita ad apprezzare la diversità delle posizioni concernenti la dottrina e il culto mariani, e a studiare le vie di avvicinamento; la situazione ecumenica è diversa a seconda che si tratti dei rapporti tra cattolici e ortodossi o dei loro rapporti con i protestanti. La prospettiva nella quale vorremmo metterci è ancora più ampia: si tratta di determinare il contributo di Maria non solo all’unione di cristiani appartenenti a diverse Confessioni, ma in una maniera più fondamentale all’unità della Chiesa e, più ancora, all’unità dell’insieme del genere umano.
L’impegno primordiale nell’opera della riunione
L’impegno di Maria nell’opera della salvezza, come ci viene presentato nei testi evangelici, non è senza rapporto con un obiettivo essenziale di unità. Le indicazioni sono implicite, ma meritano di essere esplicitate. È necessario, anzitutto, riflettere sul momento essenziale che ha costituito, per Maria, il mistero dell’Annunciazione. L’angelo annuncia che Gesù «regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe» e che «il suo regno non avrà fine» (Lc 1,33). Ricevendo «il trono di Davide suo padre», egli sarà il Messia che stabilirà definitamente il regno ideale verso il quale tendeva tutta la speranza giudaica. Una proprietà caratteristica di questo regno era la riunione che doveva realizzare.
È così, per esempio, che il servo di Jahvè era stato destinato, fin dal seno materno, a una missione consistente nel «riunire Israele» e ricondurre i superstiti (Is 49,5-6). La dispersione, che aveva assunto la sua forma più tragica nell’esilio a Babilonia, era considerata come una conseguenza dei peccati del popolo. Il peccato è fonte di divisione, come mostra il racconto della torre di Babele, dove l’orgoglio che si erge contro Dio provoca l’impossibilità, per i popoli, di capirsi tra di loro, a causa della mancanza di una lingua comune1. Qui appare il principio secondo cui coloro che si oppongono a Dio finiscono per mettersi gli uni contro gli altri. Infatti, separarsi da Dio significa allontanarsi dalla fonte di ogni unità e abbandonarsi alle passioni che dividono.
La religione giudaica non si limita a prendere coscienza di questo aspetto deleterio del peccato. Essa suscita la speranza di una salvezza che opera una riunione. Il regno che Dio vuole instaurare dovrà porre fine ad ogni divisione e riunire il popolo disperso. Non si può dubitare che Maria condivideva questa speranza messianica e che l’aspirazione all’unità era molto profonda nella sua anima. Ella non aveva mancato di constatare intorno a sé i danni della divisione, i gesti di ostilità, le lotte tenaci tra individui e tra famiglie, gli odi e le vendette, i tormenti inflitti agli altri dalla gelosia. Di fronte a queste rovine, Maria si sentiva impotente, ma prendeva sul serio la promessa divina di un’unione che sarebbe stata restaurata da una mano onnipotente.
All’udire l’annuncio dell’angelo, ella comprende che tutti i beni promessi con il regno messianico saranno accordati al popolo, e sa che tra questi beni vi è quello dell’unità, inseparabile dalla pace. Quando Maria esprime la sua adesione alla proposta che le viene rivolta, è dunque consapevole d’impegnarsi nell’instaurazione di un regno che assicurerà il trionfo dell’unione sulla dispersione. Le parole «avvenga di me quello che hai detto» significano anzitutto l’accettazione della maternità annunciata, ma comportano un consenso a tutto il destino del fanciullo, come le era stato descritto. Il sì che pronuncia è un sì all’unione futura, a questo unico Regno che deve operare una riunione definitiva,
Si può aggiungere che, con la sua adesione, Maria vuole dedicare tutte le sue forze all’instaurazione di questo Regno. Ella non si limita a una speranza che attende passivamente gli avvenimenti; è decisa a cooperare alla loro realizzazione tramite il ruolo materno che le viene assegnato. Ella accetta non soltanto di diventare la madre di Gesù, ma anche di contribuire alla sua opera, diventandone in un certo senso la madre. E siccome sa che quest’opera implica una riunione, una riconciliazione degli uomini, comincia già ad assumere il ruolo di madre dell’unità. Se il Regno descritto dall’angelo è destinato a prendere corpo nella Chiesa, il consenso al messaggio significa — secondo l’intenzione divina — un impegno al servizio dell’unità della Chiesa.
Certo, Maria non può ancora discernere che cosa sarà concretamente la formazione e lo sviluppo della Chiesa. Ella si attiene all’immagine del Regno che le è stata proposta dall’angelo. Ma la qualità del suo consenso è in proporzione alla grazia ricevuta, grazia singolare e abbondante. Come questa grazia non l’avrebbe orientata verso i beni spirituali del regno messianico, in particolare verso l’unità? Quando l’angelo incontra Maria, la chiama «piena di grazia». Questa denominazione illumina tutto il dialogo; colei che ode il messaggio lo comprende con la luce da lei ricevuta ed è in quanto colmata di grazia che aderisce al progetto.
In ciò vi è un principio essenziale d’interpretazione dell’episodio dell’Annunciazione. La grazia ha diretto i pensieri e i sentimenti di Maria verso la meta perseguita da Cristo nella sua missione di Salvatore. Recentemente uno studio esegetico della parola kecharitômenè («piena di grazia») ha sottolineato che si tratta della grazia che aveva ispirato a Maria un profondo desiderio della verginità2. Occorre aggiungere che questa grazia non l’aveva orientata soltanto verso la maternità verginale, ma verso tutto l’orizzonte della salvezza messianica e, più particolarmente, verso la riunione del popolo. Precisiamo che la grazia che aveva colmato Maria non era una grazia puramente funzionale. Come riconosce la Tradizione, era una grazia che aveva trasformato la sua personalità, santificandola. Ma questa grazia, che in qualche modo era diventata sua proprietà personale, aveva una meta, quella di prepararla al suo ruolo nell’opera della salvezza.
Così, nel momento in cui ha accettato la maternità che le veniva offerta dall’alto, Maria ha potuto assumerla secondo le intenzioni divine, quelle di un regno unificante. Queste intenzioni erano diventate sue in virtù dell’azione ispirante dello Spirito Santo; abbiamo inoltre osservato che Maria aveva dovuto appropriarsele in maniera concreta per l’esperienza che faceva della divisione tra gli uomini e i danni che ne risultavano. Ella comprendeva la necessità di un intervento divino per ristabilire l’unità e l’auspicava con tutto il cuore.
L’impegno nella maternità
Dall’Annunciazione passiamo a un altro consenso essenziale di Maria: quello alla sua maternità universale. Al Calvario, la madre sta in piedi accanto a suo figlio. Ella è là perché lo ha voluto e perché desidera condividere tutte le sofferenze del Crocifisso, associarsi nella maniera più completa al sacrificio che deve ottenere la salvezza all’umanità. Gesù consacra definitivamente quest’associazione chiedendole di accettare una nuova maternità: «Donna, ecco tuo figlio» (Gv 19,26). Chiamandola «Donna», le mostra che la considera come la donna destinata a cooperare con il Figlio dell’uomo al compimento del disegno divino. Donandole un altro figlio, le chiede anzitutto di accettare, fin da questo momento, di perdere il suo unico Figlio, per avere ormai come figli i suoi discepoli. È a costo del suo sacrificio materno che Maria acquista una maternità dall’estensione indefinita, che si prolungherà e si moltiplicherà sino alla fine del mondo. La maternità nei riguardi del discepolo prediletto, che inizia in questo momento in virtù di una parola creatrice del Salvatore, è il segno di una maternità nei riguardi di ogni discepolo in quanto è amato da Cristo.
L’interpretazione delle parole di Gesù nel senso di una semplice volontà di adempiere a un obbligo familiare, vegliando sull’avvenire di sua madre e affidandola al discepolo prediletto, sarebbe piuttosto restrittiva. Essa non corrisponde all’intenzione che si manifesta nell’episodio3. Quando aveva lasciato Nazaret per la vita pubblica, Gesù aveva certamente provveduto al futuro di sua madre; non avrebbe potuto aspettare l’ora della sua morte per preoccuparsene. D’altronde constatiamo che le parole che pronuncia sulla croce non hanno come primo scopo l’affidamento di Maria a Giovanni, ma prima di tutto di affidare Giovanni a Maria. Maria è invitata a trattare Giovanni come suo figlio; di conseguenza è lei che riceve un nuovo incarico, quello di vegliare sui discepoli e dedicare ad essi una sollecitudine materna. Le parole rivolte a Giovanni: «Ecco tua madre» sono la conseguenza di questa nuova maternità; il discepolo prediletto dovrà rispondere all’affetto materno di Maria con affetto filiale.
L’evangelista ci fa riconoscere in ciò il compimento della missione salvatrice, poiché aggiunge che Gesù sapeva «che ogni cosa era stata ormai compiuta» (Gv 19,28). Con il dono di sua madre all’umanità, il Salvatore ha consumato l’opera che gli era stata affidata dal Padre. Si tratta di un dono che ha per obiettivo lo sviluppo della vita divina nel mondo. Ha una finalità universale: è così che discerniamo legittimamente, nella maternità nei confronti del discepolo, il segno di una maternità nei riguardi di ogni cristiano. Maria è costituita madre per la più larga diffusione di tutti i beni spirituali che Gesù merita con il suo sacrificio. Come afferma il Vaticano II, ella è diventata nostra madre nell’ordine della grazia.
Tuttavia, le parole pronunciate da Gesù esprimono solo una maternità individuale. Hanno implicitamente un valore universale nel senso che Giovanni rappresenta ogni discepolo. Ma è l’universalità di una maternità nei riguardi di ogni individuo. Gesù non ha fatto dichiarazioni su una maternità di Maria nei riguardi di tutta la comunità dei discepoli. Enunciando unicamente una maternità di ordine individuale, voleva sottolineare che Maria è madre di ogni discepolo come se fosse il suo solo figlio. L’enunciato di una maternità nei riguardi dell’insieme avrebbe potuto essere compreso nel senso di una maternità talmente generale o globale, che l’attenzione materna ad ogni persona sarebbe stata meno evidente o meno necessaria. Il Salvatore voleva istituire, al contrario, i più intimi rapporti tra madre e figlio, in cui ciascuno avrebbe avuto la certezza di ricevere tutto quello che l’amore materno di Maria poteva dare a ciascuno, a seconda dei suoi bisogni personali nell’ordine della grazia. Egli ha dunque dato alla maternità di Maria una forma in cui l’accento era posto sulle relazioni personali.
Questa finalità individuale non impedisce che le parole del Salvatore siano pronunciate in un orizzonte comunitario. Certi commentatori del testo evangelico hanno tentato di fondare questo orizzonte sulla persona di Giovanni, considerato come rappresentante della Chiesa. Sembra che nulla indichi tale rappresentatività, che sarebbe comprensibile di più nel caso di Pietro, roccia sulla quale la Chiesa doveva essere edificata e destinato ad essere proclamato presto pastore universale degli agnelli e delle pecore di Gesù. Ma non è stato Pietro, bensì Giovanni, ad essere scelto come figlio di Maria, e lo è stato più particolarmente come simbolo di relazioni personali di amore con Gesù.
L’orizzonte comunitario risulta piuttosto dall’orientamento dell’opera che Cristo consuma, donando sua madre al discepolo. Quest’opera ha essenzialmente uno scopo unificante. Non solo le promesse dell’antica alleanza l’avevano annunciato, ma Gesù stesso lo ha dichiarato. Egli si presenta come il buon pastore che offre la vita per le sue pecore (Gv 10,11); e perché non si pensi che questa offerta sia destinata a un gregge limitato, aggiunge: «Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10,16). È per la riunione di tutte le pecore in un solo gregge che Gesù offre la sua vita.
Durante l’ultima Cena, questa volontà di realizzare l’unità appare ancora più manifesta nella preghiera sacerdotale. Essa vi è espressamente menzionata con il motivo supremo che la giustifica: l’unità umana deve riflettere l’unità divina e in una certa maniera incorporarvisi: «Che tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi ha mandato» (Gv 17,21). Questa somiglianza con l’unità delle persone divine implica la ricerca della perfezione nell’unità della comunità umana: «Che siano perfetti nell’unità» (Gv 17,23). In precedenza Gesù aveva chiesto ai suoi discepoli, individualmente, di essere perfetti come il Padre loro celeste è perfetto (cfr Mt 5,48). Alla vigilia del suo sacrificio chiede al Padre di renderli perfetti nell’unità che li riunirà. Sarà un frutto essenziale dell’offerta della sua vita.
San Giovanni ha colto bene questa intenzione fondamentale del sacrificio redentore. Commentando l’affermazione di Caifa che era meglio che un uomo solo morisse per il popolo, vi riconosce una parola profetica; egli aggiunge che Gesù non doveva morire soltanto per la sua nazione, ma «anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52). Dobbiamo trarne la conclusione che i discepoli hanno ben compreso, almeno dopo la morte del loro Maestro, l’importanza capitale che Gesù attribuiva all’unità, al punto di farne l’obiettivo del suo sacrificio.
Maria stessa non ignorava questa volontà riconciliatrice di Gesù. Associandosi al suo sacrificio, desiderava cooperare alla restaurazione dell’unione, all’edificazione di un regno ideale di unità. Con questa cooperazione materna al sacrificio della croce ha realmente contribuito all’instaurazione di questo Regno. Al Calvario è colei che con l’offerta di suo figlio collabora alla fondazione di una Chiesa che riunirà gli uomini nell’unità del Cristo.
Quando Maria accetta la sua nuova maternità, diventa a nuovo titolo madre dell’unità. È in una prospettiva fondamentale di riunione di tutte le pecore sotto un solo pastore che ella assume questo nuovo compito. Cristo l’ha voluta madre della Chiesa e nello stesso tempo madre di ogni discepolo. Nessuna delle due funzioni potrebbe essere adempiuta a scapito dell’altra. Maria dà tutto il suo affetto materno a ciascuno di quelli che le sono affidati come figli; ma nello stesso tempo conserva la preoccupazione di favorire l’accordo tra tutti e di rafforzare l’unità della Chiesa.
È importante osservare che la maternità ricevuta al Calvario è universale nella misura dell’universalità della stessa opera di salvezza. In questo senso, Maria non è soltanto madre di ogni discepolo che aderisce a Gesù mediante la fede, ma madre di ogni essere umano, in quanto ciascuno è chiamato ad accogliere la grazia di Cristo. In modo analogo, non è soltanto madre della Chiesa costituita attualmente sotto la sua forma visibile; ella è madre di quella che si potrebbe chiamare la Chiesa in divenire, la riunione progressiva degli uomini nella fede in Cristo. Il suo ruolo materno si estende a tutta l’umanità, coincidendo con l’universalità della diffusione della grazia. È dunque a buon diritto che la si deve chiamare madre dell’umanità e madre di tutti gli uomini.
Presenza terrestre nell’unità della Chiesa
L’ultima volta che Maria viene citata nel Nuovo Testamento, secondo la cronologia degli eventi della salvezza, è dopo l’Ascensione di Gesù, nella comunità che attende la Pentecoste. Questa presenza appare legata all’unità di questa comunità. In effetti, san Luca dice che tutti gli apostoli «erano assidui e concordi nella preghiera, con alcune donne e con Maria la madre di Gesù e con i fratelli di lui» (At 1,14). In questa assemblea vi è unanimità di sentimenti4. Essa contrasta con le dispute che così spesso avevano messo gli apostoli gli uni contro gli altri per sapere chi avrebbe occupato il primo posto nel Regno. Anche nell’ultima Cena vi era stata una discussione di questo genere. L’accordo unanime che si esprime in una preghiera comune si spiega prima di tutto con il sacrificio redentore di Cristo, che ha ottenuto per i suoi apostoli la grazia dell’unione. Ha per guardiano e garanzia la presenza di Maria. È la prima e la sola volta in cui Maria viene nominata in una riunione comunitaria con gli apostoli; ella non è estranea all’unanimità di cuore che caratterizza questa assemblea. Anche se Maria qui è chiamata semplicemente «madre di Gesù», appare come madre dell’unità nella prima comunità che alla Pentecoste sarà trasformata in Chiesa. La sua presenza materna nello sviluppo della Chiesa non cesserà più di essere un incoraggiamento all’unione.
La preghiera in cui si manifestava l’accordo dei sentimenti era soprattutto una supplica in vista della venuta dello Spirito Santo. Maria, che era più di tutti gli altri membri di quest’assemblea in intimo rapporto con lo Spirito Santo, desiderava ardentemente una venuta di cui ella aveva provato in maniera unica la fecondità. Ella aspirava più particolarmente a questa venuta per assicurare la perseveranza nell’unione. Certo, in questo primo momento di fervore in cui tutti volevano aprirsi allo Spirito Santo, la buona intesa era notevole. Ma Maria, che conosceva i discepoli, si rendeva conto che l’intesa rimaneva fragile, dal punto di vista umano, e che i motivi che avevano suscitato in precedenza le discussioni rischiavano di produrne altre. Pertanto implorava lo Spirito Santo di creare una durevole unità nella Chiesa, nell’attaccamento comune a Cristo. Solo una forza di amore soprannaturale, quella dello Spirito Santo, poteva mantenere i discepoli al di sopra delle tendenze naturali dell’ambizione personale, preservarli dalle rivalità e da ogni dissenso.
Dopo aver fatto l’esperienza dell’unanimità di cuore nell’assemblea in cui era stata presente, Maria non manca di contribuire al mantenimento di questa unanimità dopo la Pentecoste. Fu un’azione discreta ma certamente efficace. Con la nuova maternità che le era stata conferita, Maria si sentiva più responsabile dell’unione che regnava intorno a lei. Nella misura in cui intratteneva contatti con i discepoli e con tutti quelli che prendevano parte alla vita della prima Chiesa, ella esercitava un influsso nel senso di una reciproca comprensione. Si era sempre comportata da artefice della pace; dopo la Pentecoste aveva una ragione supplementare per svolgere un ruolo di conciliazione e di pacificazione, perché la Chiesa poteva svilupparsi solo nell’unità. Ella compì ogni sforzo quindi per avvicinare quelli che avrebbero avuto tendenza a opporsi gli uni agli altri.
Alla Pentecoste Maria ha ricevuto il dono dello Spirito per la missione che le era stata data da Gesù. Questo dono doveva portarla al compimento integrale della sua missione materna, per gli anni che le restavano da vivere nella sua esistenza terrestre. La rendeva capace di adempiere al ruolo di madre presso Giovanni e gli altri discepoli. Le ispirava tutte le iniziative possibili per rafforzare l’unione. La orientava più particolarmente verso una preghiera incessante per ottenere il mantenimento di un accordo unanime nella fede e nell’attaccamento a Gesù.
In questa preghiera per l’unità, l’esempio di Gesù era per Maria lo stimolo più potente. Ella non aveva assistito all’ultima Cena, né aveva udite personalmente le parole che Gesù vi aveva pronunciate. Ma, da quando abitava con Giovanni, aveva potuto avere in merito un’ampia informazione. Il discepolo prediletto le aveva raccontato come aveva vissuto quel momento unico, con tutto quello che Gesù aveva detto e fatto. Le aveva riferito l’istituzione dell’Eucaristia e le parole che ne spiegavano la portata. Le aveva ripetuto la grande preghiera sacerdotale come si era impressa nella sua memoria. Ora, in questa preghiera, l’implorazione per l’unità di tutti i discepoli, simile all’unità del Padre e del Figlio, aveva occupato un posto importante e aveva rivestito una forma particolarmente insistente. Giovanni, il discepolo più vicino a Gesù in questa circostanza, poteva meglio illuminare Maria sull’ardore con il quale il Maestro aveva pronunciato le parole: «Che tutti siano uno…».
Raccogliendo questo ricordo, Maria comprendeva con chiarezza che nella sua missione materna doveva assumersi questa supplica per l’unità. Gesù aveva dimostrato che l’unità è prima di tutto un dono concesso dal Padre e che deve formare oggetto di preghiera. Essendo sempre vissuta all’unisono con suo figlio, Maria ha dunque pregato, con tutto lo slancio della sua anima, per ottenere dal Padre l’unità della Chiesa.
Ella rimane per i cristiani un modello della preghiera per l’unità. La preoccupazione ecumenica, che si è manifestata con molto più vigore in questo secolo, ha fatto comprendere meglio il valore della preghiera per l’unione dei cristiani. Da una parte vi è una presa di coscienza dell’ideale di unità e dello scandalo costituito dalle divisioni tra Chiese separate; d’altra parte vi è la constatazione di estreme difficoltà sulla via della riunione. Davanti agli ostacoli s’impone più chiaramente la necessità della preghiera. Pur moltiplicando i contatti per superare i motivi di disaccordo, le Chiese si rendono conto che solo l’onnipotenza divina, alla quale nulla è impossibile, può aprire il cammino della riconciliazione, che dev’essere sollecitata da ardenti suppliche.
Durante la sua esistenza terrestre, Maria non ha conosciuto una situazione paragonabile a quella dell’ecumenismo contemporaneo, con cristiani così profondamente separati, raggruppati in Chiese che rivendicano la propria indipendenza e dove il contenuto della fede forma spesso l’oggetto di interpretazioni molto divergenti. Ella ha vissuto semplicemente la prima situazione ideale dell’unanimità di cuore, che è stata consacrata dalla Pentecoste; poi ha conosciuto diversi conflitti che hanno minacciato di rompere questa unità. Ella non ha mancato di discernere tutto quello che poteva compromettere l’unione voluta da Gesù; non ha cessato di pregare perché tutte le forze dissolventi potessero essere contenute e perché l’unione trionfasse su tutte le difficoltà.
È con una preghiera dello stesso genere che Maria intercede per la Chiesa odierna. Non si tratta soltanto di pregare per gli obiettivi propri all’ecumenismo, ossia per la riunione dei fratelli separati. La preghiera di Maria tendeva a ottenere la realizzazione di tutti gli aspetti dell’unità ecclesiale, specialmente mediante rapporti fraterni tra tutti i credenti e con il desiderio di evitare il più possibile la minima lacerazione in questa unità. I cristiani sono invitati a condividere questa preghiera, chiedendo che la Chiesa progredisca costantemente nell’unione tramite una carità sempre più sincera, vittoriosa su tutte le passioni contrarie.
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L’azione celeste per l’unità
Entrando nella gloria celeste, Maria ha visto allargarsi indefinitamente il suo influsso sull’unità della Chiesa. Per tutto il tempo che ha vissuto sulla terra doveva limitare la sua azione materna alle persone con le quali era in contatto. Se aveva potuto conoscere tutti quelli che appartenevano alla comunità riunita per la Pentecoste, in seguito non aveva potuto entrare in contatto con quelli che, in gran numero, si erano convertiti alla nuova fede e si erano fatti battezzare. Aveva semplicemente prodigato il suo affetto materno e la sua assistenza spirituale a coloro che l’avvicinavano.
Una volta assunta in cielo, Maria può esercitare, senza alcuna restrizione, il suo compito di madre. Può seguire con lo sguardo tutti quelli che entrano nella Chiesa, aiutandoli in ogni momento. La condizione celeste le permette di dominare lo spazio e il tempo, di conoscere tutte le situazioni e d’intervenire ovunque lo desideri. La rende atta a portare nella sua preghiera a Cristo tutte le sue preoccupazioni per ciascuno di quelli che ama come propri figli.
Pur accompagnando ciascuno in tutte le circostanze della sua vita, Maria abbraccia anche con lo sguardo l’insieme della Chiesa, con tutti i problemi comunitari che in essa si pongono. Per il fatto che la sua maternità individuale nei riguardi di ciascun cristiano s’inserisce in una maternità universale, ella si china su ciascuno, tenendo conto dei bisogni della comunità. Questo spiega perché tutta la sua azione è quella di «Madre dell’unità». Questo titolo le è stato applicato da sant’Agostino, il quale voleva sottolineare che la Chiesa, a immagine di Maria, è madre dell’unità in mezzo alla moltitudine degli uomini5.
La Chiesa è madre dell’unità perché tende a riunire gli uomini nell’unica vita di Cristo. Maria è madre di questa unità in maniera più reale e più concreta perché è una persona e perché ha un cuore materno. Nel suo affetto materno vuole assicurare l’unione di tutti quelli che ama. Una madre tende spontaneamente a favorire l’unione dei suoi figli. Le loro dispute produrrebbero una lacerazione nel suo cuore materno. Ella non può schierarsi per l’uno contro l’altro, perché ama tutti e il suo amore vuole tenerli uniti. In questo senso ogni madre è madre dell’unità.
Nel caso di Maria, è essenzialmente a un livello soprannaturale che agisce come madre dell’unità, poiché è «madre nell’ordine della grazia» (LG, n. 61). Questo livello superiore della grazia non toglie nulla alla spontaneità con la quale agisce per salvaguardare l’unità. Questa spontaneità materna è piuttosto rafforzata dal profondo orientamento della grazia, che tende a sviluppare la carità e ad avvicinare tra di loro i membri del Corpo Mistico di Cristo. Colei che nella sua vita terrestre ha ricevuto la pienezza della grazia e che nel suo stato celeste gode della pienezza della gloria, è interamente presa dal desiderio di riunire sempre più i suoi figli in un’unità di fede e di amore.
Ci si potrebbe chiedere perché Cristo abbia voluto per Maria questo ruolo di madre dell’unità. Nella dottrina di Gesù, nei suoi precetti di carità, nella vita di amore comunicata dalla grazia e in particolare dall’Eucaristia, non vi erano già abbastanza stimoli per perseguire l’obiettivo dell’unità? In effetti il Maestro ha voluto una madre dell’unità per lo stesso motivo che voleva una madre della Chiesa, una madre dei cristiani nell’ordine della grazia. Egli desiderava che una presenza materna incoraggiasse i suoi discepoli alla buona intesa, e che questa presenza fosse la più commovente immagine dell’amore del Padre verso l’umanità. Gli uomini provano spesso difficoltà a riconoscere la bontà e la tenerezza del Padre; sono più sensibili alla presenza di un volto materno e, attraverso questo, possono più facilmente vedere il volto del Padre.
Come madre dell’unità, Maria è destinata a esprimere nella sua condotta l’amore del Padre che vuole riunire tutti gli uomini. La missione di rappresentare il Padre contribuisce a porre in evidenza l’importanza essenziale del ruolo di Maria. Non è una funzione marginale; l’attività materna rivela il disegno divino che guida l’opera della salvezza, l’intenzione del Padre di riunire tutti gli esseri umani come suoi figli nel suo Figlio unico. Tutta la profondità dell’amore che regge i rapporti di Dio con l’umanità tende ad apparire attraverso la sollecitudine di Maria per l’unità della Chiesa.
Come espressione del disegno del Padre, la missione materna di Maria assume più chiaramente tutta la sua ampiezza. Il Padre desidera riunire l’umanità intera nel suo amore. Il cuore materno di Maria è animato dalla stessa intenzione universale. Certo, Maria è madre, a un titolo più speciale, di tutti coloro che aderiscono a Cristo mediante la fede. Ma ella si sente ugualmente la madre di tutti coloro che sono chiamati ad accogliere la grazia di Cristo sotto forme più velate, più implicite; in questo senso la sua maternità assume la più vasta universalità. Da questo punto di vista, Maria è madre della riunione segreta che si effettua nel profondo dei cuori umani, anche dove questa riunione non prende la forma visibile dell’appartenenza alla Chiesa. Ella si dedica dunque a favorire l’intesa tra tutti gli uomini, quali che siano. Certi segni di quest’azione in favore di una unità più vasta appaiono quando, per esempio, il culto di Maria attira sia cristiani sia musulmani.
Nell’ecumenismo è noto che il fervore del culto mariano è un elemento essenziale di avvicinamento tra ortodossi e cattolici. Se nella loro grande maggioranza i protestanti si sono allontanati da questo culto, si nota nondimeno che alcuni, recentemente, hanno riscoperto la Vergine Maria e con ciò un anello di congiunzione con i cristiani che la venerano6. Nella Chiesa cattolica, in cui l’unità istituzionale è più vigorosa, Maria fa in modo che a questa unità corrisponda sempre più un’unanimità di cuori simile a quella che aveva caratterizzato la comunità primitiva. Un tale amore, interamente sostenuto dalla grazia, non può essere che efficace, anche se le meraviglie che esso produce rimangono nell’ombra.
Copyright © 1988 – La Civiltà Cattolica
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1Gn 11,1-9. Nel suo commento al racconto della torre di Babele, C. Westermann osserva che l’avvenimento della Pentecoste testimonia che i limiti delle lingue sono stati superati: «Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio» (At 2,11)(Genesis 1-11, vol. I, Neukirchen-Vluyn 1974, 740). Il racconto della torre di Babele si comprende alla luce del complemento che gli dona l’universalismo instaurato da Cristo.
2I. DE LA POTTERIE, Kecharitômenè en Lc 1,28. Etude exégétique et théologique, in Biblica 68 (1986) 480-508: «Kecharitômenè non descrive semplicemente la santità di Maria (era l’esegesi della Tradizione), ma il suo profondo desiderio della verginità, un desiderio di appartenere a Dio, che le era stato ispirato dalla grazia di Dio, per prepararla appunto a una maternità verginale» (507).
3Sul valore messianico della dichiarazione. cfr J. GALOT, Marie dans l’Evangile, Desclée-De Brouwer, Paris – Bruges 1965, 179-189.
4 Il v. 14 «ha il carattere di un sommario che offre la descrizione di una situazione ideale», osserva G. SCHNEIDER, Die Apostelgeschichte, vol. I, Herder, Freiburg – Basel – Wien 1980, 207.
5Cfr S. AGOSTINO, Sermo 192,2 (PL 38, 1012-1013).
6 Sulla situazione ecumenica della mariologia cfr J. GALOT, Maria. la donna nell’opera di salvezza, PUG, Roma, 1984, 379-415; S. DE FIORES, Maria nella teologia contemporanea, Mater Ecclesiae, Roma 1987, 230-255.