
Un libro recente di Rocco D’Ambrosio, professore di filosofia politica alla Pontificia Università Gregoriana, ripropone un tema sempre attuale e dibattuto[1]. Si ha l’impressione che la riflessione etica sia in una fase di stanchezza, oppure – il titolo del libro gioca sulle due possibilità, a seconda che si intenda il termine «stanca» come aggettivo o come verbo – che sia lo studio stesso di questa disciplina a risultare pesante, stancante appunto.
Recuperare non solo il valore, ma anche la dimensione attraente dell’etica costituisce un compito arduo al quale D’Ambrosio non si sottrae, interpellando una serie di autori ed esponenti della vita pubblica, nel tentativo di fare il punto sulla situazione. Ne risulta un libro ricco di spunti, capace di stimolare la riflessione su alcune tematiche scottanti del vivere, sulle quali, volenti o nolenti, ciascuno è chiamato a prendere posizione, anche semplicemente dalle scelte quotidianamente messe in atto. Da qui la necessità di sviscerarne i criteri di valutazione, da cui dipende la qualità del vivere comune, ma anche di affrontare le obiezioni spesso rivolte a questa disciplina.
Perché occuparsi di etica?
Una di queste obiezioni, puntualmente riproposta, è la convinzione che i valori dell’onestà e della giustizia siano in fondo una pia illusione, propria di chi non conosce la dura realtà. Riportando un pensiero di Gilbert K. Chesterton (cfr 19), D’Ambrosio precisa che gli ideali non sono affatto meri sogni adolescenziali, ma qualcosa di indispensabile, come i segnali stradali (quello che Aristotele chiamava telos, «fine») per chi intende intraprendere un viaggio. L’immagine stessa del viaggio dice anche della dimensione pratica ed esistenziale del bene, che si chiarisce nel tempo, «cammin facendo», confrontandosi con segni e riferimenti che si possono comprendere in seconda istanza, rileggendo con calma il tragitto compiuto ed esplicitando il punto di arrivo delle scelte intraprese. San Tommaso, trattando del fine ultimo della vita umana – la beatitudo –, riprende proprio la metafora del viaggio: un uomo mostra di conoscere la meta da raggiungere non tanto perché pensa continuamente a essa, ma piuttosto perché è impegnato a compiere bene il proprio cammino (cfr Summa Theologiae I-II, q. 1, a. 6, ad 3um).
La ricerca del bene caratterizza di fatto ogni uomo e donna: chi non si pone la questione corre il rischio di trovarsi dove non vorrebbe, come nella parabola evangelica dell’uomo che, volendo costruire una torre, si è imbarcato nell’impresa senza valutarne i costi e le possibilità a disposizione (cfr
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