
Sono passati diversi mesi dalla cosiddetta «guerra dei 12 giorni» tra Israele e Iran, alla quale hanno partecipato alla fine anche gli Usa. Essa si è conclusa con un inaspettato cessate il fuoco, richiesto dal presidente Donald Trump. Si è trattato di una guerra molto pericolosa, che poteva andare avanti per anni e che rischiava di infiammare ulteriormente l’intero Medio Oriente. Ad ogni modo, essa potrebbe riattivarsi nel caso gli iraniani riprendessero il programma nucleare, che gli statunitensi e gli israeliani ritengono in buona parte distrutto, nonostante non siano state fatte ancora puntuali verifiche sulle perdite dell’Iran in ambito nucleare[1].
L’operazione «Rising Lion»
Secondo il governo israeliano, l’Iran è la più grande minaccia esterna per Israele, ma la minaccia più grave di tutte è certamente il suo progetto di dotarsi di una bomba nucleare. Israele è un piccolo Paese densamente popolato, situato nel raggio di azione missilistico della Repubblica islamica, per cui un Iran dotato di armi nucleari metterebbe a rischio la sua stessa esistenza[2]. Ciò spiega l’attacco all’Iran del 13 giugno scorso, preparato e studiato da lungo tempo, in ogni sua parte.
L’operazione, denominata Rising Lion, è stata attuata con l’intento specifico di impedire che gli ayatollah arrivino a costruire una bomba nucleare. Il premier Netanyahu a tale riguardo ha parlato «di azione preventiva per rimuovere una minaccia esistenziale»[3]. I ripetuti raid aerei non si sono limitati a colpire i laboratori del programma atomico, ma hanno preso di mira le più importanti risorse strategiche iraniane, uccidendo le persone al vertice delle forze armate e dei Guardiani della rivoluzione[4], nonché gli scienziati impegnati nel progetto. Hanno colpito, inoltre, le difese contraeree, gli arsenali missilistici e bombardato aeroporti e caserme in tutto il Paese. Insomma, il vero obiettivo era colpire il sistema di potere degli ayatollah e spingere a un change regime, come aveva espressamente detto Benjamin Netanyahu in un messaggio rivolto agli iraniani.
Il giorno precedente, i governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), un’agenzia collegata alle Nazioni Unite, avevano dichiarato l’Iran inadempiente in ordine al nucleare. Era la prima volta in 20 anni che l’Agenzia censurava la Repubblica islamica perché non rispettava i suoi obblighi sul programma nucleare, non collaborava pienamente con le ispezioni e continuava a non spiegare la presenza di tracce di uranio trovate in tre siti non dichiarati. Teheran possedeva quantità di uranio arricchito al 60%, che, se fosse portato al 90%,
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