«Sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote», cantava Dante nella Divina Commedia (Inf. XI, 105), in un tempo in cui la societas christiana del Medioevo aveva realizzato quasi un perfetto connubio tra arte e fede, tra espressione artistica ed esperienza religiosa. Come la natura creata — secondo la visione biblica e cristiana — è in certo senso «figlia» di Dio creatore, così l’arte umana, che segue la natura e a lei s’ispira, è quasi «nipote di Dio». Secoli dopo, passata sull’Europa cristiana l’ondata «iconoclasta» del protestantesimo, che, con Lutero, aveva «distrutto le sale dorate del mito e al loro posto aveva messo il misero tabernacolo del deserto» (G. Nebel), l’archeologo tedesco e storico dell’arte Johann J. Winckelmann (1717-68) affermava: «Chi ama il bello si dirigerà verso Roma», vista, con nostalgia, come modello classico della bellezza.
E proprio da Roma, in questo tornante di secolo e di millennio, giunge al mondo moderno dell’arte e degli artisti un messaggio sia di chiara stima del loro lavoro sia di forte auspicio per una nuova simbiosi o armonia tra ispirazione artistica ed esperienza di fede, in una parola tra arte e fede cristiana. Intendiamo riferirci alla Lettera che Giovanni Paolo II ha recentemente scritto agli artisti: «A quanti con appassionata dedizione cercano nuove “epifanie” della bellezza per farne dono al mondo nella creazione artistica»[1]. Questa è la dedica della Lettera, che pone in esergo la citazione del libro della Genesi, ossia del più antico racconto biblico della creazione: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1,31). La Lettera si chiude citando una celebre intuizione di F. Dostoevskij, il quale, nel romanzo L’idiota, affermava: «La bellezza salverà il mondo».
La «Lettera agli artisti»
La Lettera reca la data significativa del 4 aprile 1999, Pasqua di Risurrezione. Sulla scia delle lettere già indirizzate da Giovanni Paolo II a determinati gruppi sociali, come le famiglie, le donne, i bambini e i lavoratori, in quest’ultimo scritto egli si rivolge in forma colloquiale agli artisti. Nella voce «artisti» sono inclusi tutti coloro che avvertono in sé una sorta di «scintilla divina», com’è proprio della vocazione artistica di poeti, scrittori, pittori, scultori, architetti, musicisti, attori ecc. (n. 4). Essi sono designati con diversi nomi o immagini: «geniali costruttori di bellezza», «avvinti dallo stupore per il potere arcano» dell’essere, soggetti che avvertono «l’eco del mistero della creazione di Dio», artefici nei quali si rispecchia l’immagine di
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