Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, i due grandi protagonisti della vita politica italiana negli anni del dopoguerra, morirono entrambi nel mese di agosto, a 10 anni di distanza uno dall’altro: il primo, il 19 agosto del 1954; il secondo, il 21 agosto 1964. Per questo lo scorso anno ricorreva il settantesimo anno della scomparsa del leader democristiano e il sessantesimo di quello comunista[1].
Erano personalità molto diverse dal punto di vista intellettuale e formativo: Togliatti si era formato all’ombra di Stalin in Russia[2]; De Gasperi era un esponente di spicco del Partito popolare italiano e, negli anni del fascismo, gli era stato offerto dalla Santa Sede di «rifugiarsi» in Vaticano e lavorare nella Biblioteca apostolica. Entrambi, però, erano animati dallo stesso scopo: quello di far ripartire l’Italia del dopoguerra e attraverso la politica proporre il loro sistema di valori. Essi avevano una visione opposta della politica: De Gasperi aveva una prospettiva universalistica, fondata sui bisogni naturali dell’uomo e sulla libertà[3]; Togliatti credeva nella lotta di classe, ma per l’Italia, almeno per il momento, immaginava una parentesi democratica[4].
In diverse occasioni essi si erano confrontati a distanza, ma non si erano mai incontrati personalmente. Condividevano i capisaldi della ricostruzione democratica, ma avevano progetti politici radicalmente diversi. Togliatti immaginava di portare l’Italia nel campo comunista, anche se la sua politica fu sempre cauta dopo la «svolta di Salerno» del 1944 voluta da Stalin, il quale autorizzò i comunisti italiani a collaborare – temporaneamente – con la monarchia. De Gasperi invece intendeva collocare l’Italia nel mondo occidentale, con una forte connotazione cristiana, anzi cattolica.
“De Gasperi intendeva collocare l’Italia nel mondo occidentale, con una forte connotazione cristiana, anzi cattolica.
Il dibattito sull’art. 7 della Costituzione
Uno dei momenti in cui i due leaderpolitici si confrontarono apertamente fu in occasione della discussione sull’art. 7 della Costituzione, che riguardava la delicata materia della costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi.
Il 4 marzo 1947, alla vigilia della discussione e della votazione dell’art. 7 nell’Assemblea Costituente, Togliatti, sempre più convinto dell’inopportunità, dal punto di vista politico, di contrapporsi alla Santa Sede in una materia così delicata come quella dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, inviò segretamente in Vaticano un suo fedele collaboratore, il sottosegretario al ministero degli Affari Esteri, il comunista Eugenio Reale, perché facesse presente all’autorità ecclesiastica il punto di vista del Pci sulla controversa materia disciplinata dall’art. 7 e, più in generale,
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