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Chiesa e spiritualità

All’origine della nostra fede

La fede di Maria

Jean Galot

6 Settembre 1986

Quaderno 3269

Mater Ecclesiae (Foto Alamy)

Coloro che credono sono consapevoli di vivere un mistero. Non finiscono mai di approfondire il senso della loro fede, i motivi che li conducono a credere, l’origine dell’incrollabile certezza che li anima. La loro riflessione non è soltanto individuale; essa è stimolata e aiutata dalla riflessione della Chiesa, che cerca di cogliere meglio ciò che crede, e di esprimerlo più chiaramente.

In questo sforzo di riflessione è importante ritornare alla fonte. All’origine della fede cristiana si trova la fede di Maria. La tradizione giudaica aveva sviluppato la fede nel Dio unico e vero, e l’Antico Testamento ci presenta numerosi esempi di questa fede. Maria è stata la prima a passare dalla fede giudaica alla fede in Cristo. Per meglio scoprire la natura di questa fede è necessario dunque meditarne il primo scaturire nella Vergine di Nazaret.

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Vi è infatti un aspetto della personalità spirituale di Maria che non sempre è stato posto abbastanza in evidenza, pur essendo di un valore primordiale. Esso attira la nostra attenzione su quello che vi è di comune tra lei e noi. Altri aspetti della figura di Maria la pongono a un’altezza inaccessibile per noi: la pienezza di grazia, con una santità perfetta che è iniziata fin dal primo istante; il concepimento verginale e la maternità divina; la cooperazione materna all’insieme dell’opera redentrice e al sacrificio della croce; il mistero dell’assunzione con l’esercizio della maternità universale nello sviluppo della vita della Chiesa. Evidentemente questi privilegi non sono destinati a separare Maria dal popolo cristiano; anzi, le sono accordati proprio per questo popolo, affinché ella possa compiere tutta la missione che le è stata affidata nell’opera di santificazione dell’umanità. Ma siccome questa missione è unica, essi sono di ·esclusiva pertinenza di Maria, la quale si distingue così da tutti gli altri membri della comunità cristiana. Per contro, la fede costituisce un’intima disposizione che avvicina a noi la madre di Gesù; essa testimonia che Maria ha condiviso la nostra condizione e ha dovuto seguire un cammino spesso arido e oscuro, cercare e trovare la luce.

A volte ci è stata presentata la madre di Dio come beneficiante sulla terra di un’illuminazione che la dispensava da ogni sforzo di fede e che anticipava in qualche modo, per lei, la perfetta chiarezza della visione beatifica; si pensava che questa chiarezza interiore dovesse necessariamente appartenere a colei che viveva così vicino al Salvatore. Ma la pienezza di grazia accordata da Dio a Maria, non la toglieva affatto dalla condizione ordinaria della vita terrestre. Gesù stesso è vissuto sulla terra in uno stato di kenosi, ossia di spoliazione interiore e di umile oscurità; la coscienza umana della sua filiazione divina si è sviluppata in lui in una maniera adatta alla crescita di una psicologia umana e si è manifestata con una notevole modestia. Non meno di suo figlio, Maria non è stata immersa nella gloria prima di giungere nell’aldilà. Secondo l’espressione usata dal Concilio, ella ha dovuto avanzare nella «peregrinazione della fede»[1]. Mediante questa solidarietà, ella può guidare tutti quelli che sono ancora impegnati in questo pellegrinaggio: tutti sono invitati a considerarla come colei che ha aperto la via della fede in Cristo.

Le informazioni dei Vangeli concernenti Maria ci permettono di comprendere in che modo la sua fede si è affermata. I testi sono concisi, ma, analizzandoli, possiamo entrare un poco nell’ambito delle intime disposizioni della Vergine di Nazaret.

Il primo atto di fede in Cristo

Nell’Annunciazione è stato chiesto a Maria un atto di fede essenziale. L’angelo le espone il progetto divino di maternità, sollecitando il suo consenso. In ciò vi è una novità, perché negli annunci precedenti di una maternità accordata da Dio, il consenso della madre non era stato richiesto: era semplicemente l’annuncio di una buona novella, che non poteva non suscitare la gioia di una donna sterile, rispondendo al suo desiderio di avere un figlio. Ma qui, colei che riceve l’annuncio è chiamata a dare una risposta personale. Dio vuole stabilire un’alleanza definitiva con l’umanità e chiede la cooperazione umana a questa alleanza. Maria è invitata a esprimere l’accoglienza di tutta l’umanità alla venuta del Salvatore e a ricevere così in sé l’alleanza destinata a rimanere per sempre[2]. Le parole «rallegrati» e «il Signore è con te», lasciano capire che ella è considerata come la rappresentante del popolo messianico. «Rallegrati» era l’invito rivolto in precedenza alla figlia di Sion[3]; e la garanzia dell’assistenza del Signore era stata data ai rappresentanti del popolo per la missione loro affidata. Il consenso al progetto divino implicava un atto di fede. Maria doveva credere alla verità delle parole dell’angelo per accettare il loro compimento. Prima di formulare il suo consenso, ella presenta una difficoltà: «Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo?» (Lc 1,34).

Già questa domanda mostra che Maria non agisce come un automa che registra semplicemente quello che gli viene detto per realizzarlo. Bisogna sottolineare che Maria non pone in discussione il compimento del progetto. Ella dice, letteralmente: «Come sarà questo?». Crede che questo «sarà», ma chiede «come». La traduzione: «Come è possibile?», che non corrisponde al testo, indebolisce l’espressione; Maria non interroga su una possibilità, ma su un fatto che si produrrà.

Ella manifesta così la sua fede, ma sollecita tuttavia una nuova luce. Questa luce le è donata: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo» (Lc 1,35).La via scelta dal progetto divino risponde al suo desiderio di conservare la verginità. Ma è una via tutta nuova, che non era mai stata annunciata nella tradizione giudaica.

Quando Maria risponde: «Avvenga di me quello che hai detto», esprime una completa disponibilità fondata sulla fede nella parola che viene da Dio. Accettando la maternità verginale, ella mostra una fede superiore a quella giudaica anteriore. Qui si compie il passaggio alla fede cristiana e alla sua novità.

È un credere nel Messia, perché l’angelo aveva descritto il bambino come destinato a occupare «il trono di Davide, suo padre», a «regnare per sempre sulla casa di Giacobbe» (Lc 1,32-33). Insistendo sulla grandezza del bambino e sull’eternità del suo regno, l’annuncio gli riconosceva gli attributi più elevati che l’AT aveva individuato nei re messianici del futuro. Ma la maternità verginale, che giustifica il nuovo titolo di «Figlio di Dio», pone questo Messia — concepito dallo Spirito Santo — al di sopra di tutto quello che era atteso nella speranza giudaica. Maria crede a questo Messia superiore, senza alcun dubbio né esitazione.

Le circostanze dell’Annunciazione mettono in rilievo una caratteristica essenziale della fede. È una fede nella parola.

Secondo il racconto di Luca, Maria non ha avuto una visione, a differenza di Zaccaria; ella ha sentito unicamente una voce, perché il turbamento prodottosi in lei in quel momento, era dovuto al saluto che le era stato rivolto. La chiamata a una fede più spoglia, più libera da ogni appoggio sensibile, si manifesta anche con il fatto che il quadro dell’intervento celeste non è citato con precisione, segno che non comportava nulla di speciale, mentre Zaccaria riceve il messaggio a Gerusalemme, nel santuario, durante un esercizio unico di funzione sacerdotale. Per Maria tutto si concentra nella sola parola che viene dall’alto, senza alcun’altra garanzia. A questa parola ella aderisce senza riserve.

Nello stesso tempo la sua fede, accoglienza della parola, è un attaccamento alla persona di Cristo. Sarà una proprietà della fede cristiana l’essere adesione sia a una parola, sia a una persona. Come attaccamento alla persona di Cristo, la fede comporta un aspetto di amore e di dono di sé. Le parole: «Avvenga di me…», formulate nella maniera non solo di un’accettazione ma di un auspicio[4], vogliono esprimere un impegno di tutte le forze personali e un impegno che si assume volentieri. Maria comincia a darsi interamente a suo figlio.

Prima di vedere Gesù, Maria ha creduto in lui. La sua fede era richiesta anzitutto per la venuta del Salvatore in questo mondo. Il piano divino non aveva previsto solo l’invio di questo Salvatore, ma un’accoglienza anteriore all’invio stesso. Questa accoglienza consisteva in un atto di fede compiuto a nome dell’umanità. In virtù della volontà divina il compimento del mistero dell’Incarnazione è stato condizionato dalla fede di Maria, sospeso al suo. consenso. Questo condizionamento mostra la realtà dell’alleanza e l’importanza primordiale attribuita alla fede nei disegni divini. L’Annunciazione ha suscitato il primo atto di fede cristiana, di una fede che ha contribuito alla venuta di Cristo in mezzo agli uomini.

La prima beatitudine

L’esclamazione di Elisabetta, al momento della visitazione, illumina il valore di questa fede: «Beata colei che ha creduto, perché si compirà ciò che le è stato detto da parte del Signore» (Lc 1,45). Nell’episodio, la proclamazione di questa beatitudine viene da colei che ha sofferto per l’incredulità di Zaccaria e ne ha constatato le penose conseguenze. Il saluto rivolto da Maria alla sua parente, che fa contrasto con il silenzio di Zaccaria, testimonia che ella non ha ceduto alla tentazione dell’incredulità e che possiede la felicità della fede. Al di là di queste circostanze è la felicità di ogni fede che è proclamata in quella di Maria. Elisabetta parla sotto l’influsso dello Spirito Santo, di cui è riempita, ed enuncia la prima beatitudine, del Vangelo. Vi è una felicità nel credere: non semplicemente la gioia spontanea che accompagna lo slancio della fede, ma la gioia più profonda che viene da Dio. Nella nuova alleanza Maria è stata la prima a conoscere questa felicità.

Quando Gesù proclamerà più tardi le beatitudini, presenterà una serie di situazioni o disposizioni personali alle quali è promessa la felicità dall’alto: di queste situazioni o disposizioni egli è il primo modello, perché si deve riconoscere in lui, per eccellenza, il povero, il mite, l’afflitto, colui che ha fame e sete di giustizia, il misericordioso, il cuore puro, l’artefice di pace, il perseguitato. Ma egli non è, chiaramente, il modello della fede, perché la coscienza della sua filiazione divina lo pone a un livello superiore alla fede[5]. La beatitudine della fede ha Maria come primo modello; poiché la sua fede in Cristo ha preceduto la venuta stessa di Cristo, essa meritava di essere al primo posto nelle beatitudini.

Si può osservare che la proclamazione di questa prima beatitudine concorda con quello che Gesù dirà durante la vita pubblica. Il Maestro reagirà all’elogio rivolto a sua madre situando la sua felicità in un’altra prospettiva: «Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28). Senza citare espressamente la fede, Gesù, vi fa allusione affermando la beatitudine di coloro che ascoltano la parola.

Egli indica così il motivo fondamentale della beatitudine di sua madre. Non è il semplice fatto della maternità che costituisce la felicità di Maria, ma il suo atteggiamento di fede nella parola, che ha determinato il suo accesso alla maternità e che può essere condiviso da tutti. Mentre la qualità di madre di Gesù è unica, quella di credente è comune ad altri, e la felicità di ascoltare la parola è accessibile alla donna del popolo che, ammirando Gesù, si rammaricava di non essere la madre di un simile uomo.

Nella ricerca della felicità, che caratterizza l’esistenza umana, conviene dare tutto il suo valore alla prima beatitudine. La prima felicità non dev’essere cercata altrove, ma nella fede. L’affermazione è sorprendente, come quella delle altre beatitudini, e non può essere accolta che da quelli che si aprono alle realtà superiori ·alla vita terrestre. Coloro che si rinchiudono nell’orizzonte immediato delle realtà visibili, non possono considerare la fede che come un atteggiamento secondario e marginale, se non superfluo, e ritenere che essa è senza effetto sulla felicità. La beatitudine che si è verificata in Maria rimane una luce che tende a dissipare la corsa illusoria a felicità esclusivamente terrene. Credere in Cristo è e rimane la prima parola di felicità per l’umanità.

Enunciando questa beatitudine, Elisabetta ne indica il motivo. «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» è una traduzione grammaticalmente possibile del testo greco, ma che non risponde al suo vero senso. Il testo permette due interpretazioni: «Colei che ha creduto che si adempiranno…», o «Colei che ha creduto perché si adempiranno…»[6]. La prima interpretazione ridurrebbe l’affermazione a una banalità; credere, in questo contesto, significa credere nel compimento della parola. La seconda interpretazione s’impone, perché il motivo della beatitudine chiede di essere indicato, come nelle beatitudini pronunciate da Gesù: così, per esempio, i misericordiosi sono beati perché otterranno misericordia. Colei che ha creduto è beata perché «si compirà ciò che le è stato detto da parte del Signore».

Questo motivo è di grande importanza; corrisponde a una verità che troverà la sua illustrazione in molti episodi evangelici: la fede contribuisce al compimento delle meraviglie divine. Spesso, infatti, Gesù reclamerà la fede per i miracoli che desidera operare.

Non esiterà ad attribuire alla fede la salvezza accordata sotto il segno della guarigione miracolosa: «La tua fede ti ha salvato», dice al cieco Bartimeo, all’emorroissa, ad altri ancora[7]. Non meno significativa è la proporzione che egli enuncia tra la misura della fede e quella dell’avvenimento auspicato. Al centurione risponde: «Ti sia fatto come hai creduto» (Mc 8,13); colui che aveva chiesto il miracolo a distanza l’ottiene. Al padre dell’epilettico, che testimoniava una fede troppo debole, vacillante, dona coraggio con un’affermazione stupenda: «Tutto è possibile a colui che crede» (Mc 9,24).

L’efficacia della fede mostra l’esigenza della cooperazione umana ai disegni di Dio. L’onnipotenza divina potrebbe realizzare i suoi progetti senza ricorrere a questa cooperazione, ma non è il cammino che ha deciso di seguire. Essa opera dove incontra l’accoglienza e la collaborazione della fede, di modo che la fede esercita un reale influsso sul corso degli avvenimenti.

Lo stesso è per il progetto dell’entrata del Figlio di Dio nell’umanità. L’angelo ha esposto questo progetto a Maria perché potesse, con la sua fede, contribuire al suo compimento. La fede è all’origine della sua maternità, come hanno dichiarato i Padri della Chiesa e in particolare sant’Agostino: Maria ha concepito mediante la fede[8]. Il concepimento è stato opera dello Spirito Santo, ma un’opera alla quale ha contribuito la fede di Maria.

Come viene pronunciata da Elisabetta, la beatitudine della fede è legata al compimento futuro del messaggio dell’Annunciazione. Maria non ha contribuito soltanto con la sua fede al concepimento del bambino, ma anche alla realizzazione di tutto quello che è stato detto dall’angelo riguardo al destino di Gesù, perché la sua adesione concerne la totalità del messaggio. Credendo a queste parole, ella ha cooperato a tutto lo sviluppo della missione del Salvatore.

La crescita della fede

La fede che si è formata in Maria al momento dell’annunciazione ha dovuto svilupparsi, perché non le era stata data tutta la luce della fede cristiana. Un primo notevole sviluppo si produsse al momento della presentazione del bambino al tempio. Mentre l’angelo non aveva parlato a Maria del grande sacrificio che un giorno avrebbe comportato la sua maternità, Simeone le ha svelato l’itinerario doloroso che avrebbe caratterizzato la missione salvatrice di Gesù. Le predisse la spada che avrebbe trafitto il suo cuore.

Il racconto evangelico si limita a dirci che, in seguito, Maria ha compiuto tutto quello che era conforme alla legge del Signore (Lc 2,39), ossia che ella ha offerto suo figlio. È sottinteso che ella ha accettato tutto quello che le era stato detto profeticamente sul senso di questa offerta. A differenza di Pietro, che più tardi si ribellerà al primo annuncio della passione del Maestro, Maria ha accolto con fede le parole di rivelazione che le erano state destinate. Ormai la sua fede nel Messia è diventata una fede in colui che doveva compiere il suo ruolo messianico a prezzo di un’immensa sofferenza.

All’età di dodici anni, Gesù stesso conferma quest’orientamento quando, sottraendosi a Maria e a Giuseppe per rimanere nel tempio, trasforma la fine del loro pellegrinaggio a Gerusalemme in un dramma angoscioso. Agisce in questo modo solo perché li vuole associare al mistero della sua sofferenza redentrice. Più precisamente, fa vivere in anticipo a Maria l’intervallo così doloroso dei tre giorni che separerà la morte dalla risurrezione. L’episodio prefigura infatti il mistero pasquale[9]. Ciò fa comprendere meglio a Maria quello che aveva offerto durante la presentazione al tempio. È in riferimento a questo gesto che Gesù pronuncia le parole: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere nella casa del Padre mio?» (Lc 2,49).

Queste parole, che contenevano il segreto della condotta sorprendente di un bambino abitualmente sottomesso ai suoi genitori, non sono state comprese. Ma esse hanno contribuito a far progredire notevolmente la fede di Maria. Perché non sono state comprese? Il racconto evangelico ne dà una sufficiente indicazione. Maria aveva detto a suo figlio: «Tuo padre e io ti cercavamo angosciati», e Gesù risponde: «Nella casa del Padre mio», parlando di un altro padre e non di Giuseppe. In aramaico l’equivoco doveva essere più forte ancora: «Abba (papà) e io» e «Nella casa di Abba (di papà)». Non si trattava dello stesso padre, dello stesso abba.

Dichiarando che egli dev’essere nella casa di colui che chiama Abba (papà), Gesù vuol mostrare a Maria che il suo vero padre è il Padre celeste e che nei suoi confronti si trova nella posizione di un figlio verso suo padre, vale a dire che egli è in senso proprio Figlio di Dio. Offre questa rivelazione a sua madre come un mistero. Anche se non comprendeva, Maria conservava le parole e le meditava nel suo cuore (Lc 2,51,19)[10]. Ella ha cercato perciò di coglierne la portata, confrontandole con tutta la condotta di suo figlio. La sua fede ha fatto uno sforzo per entrare più profondamente nel mistero di Gesù. Certamente ella ha cercato di scoprire nel volto di suo figlio il riflesso dei tratti del volto divino di colui che egli chiamava suo Padre. In mancanza d’informazioni su questo sviluppo della fede durante molti anni, constatiamo che il frutto della meditazione prolungata delle parole di Gesù, si manifesta all’inizio della vita pubblica. L’episodio di Cana fa apparire, nel suo vigore, la fede di Maria, ed è una fede nella divinità onnipotente di Gesù.

La fede di Maria e il primo miracolo

Quando la festa nuziale è minacciata da una misera fine per la mancanza di vino, Maria non esita a ricorrere a suo figlio. Dicendogli: «Non hanno più vino) (Gv 2,3), ella mette nelle sue mani questa situazione imbarazzante, Maria dà prova di una fede audace, perché fino a questo momento Gesù non aveva operato alcun miracolo. Durante i trent’anni di Nazaret egli non aveva mai compiuto il minimo prodigio, e dall’inizio del suo ministero pubblico nessuna azione straordinaria aveva accompagnato la sua predicazione. Senza aver visto miracoli, Maria credeva al potere miracoloso di Gesù. In lei si verifica quello che dirà più tardi Gesù risorto a Tommaso: «Beati quelli che pur non avendo visto credono» (Gv 20,29), Come la sua fede aveva preceduto la venuta di Cristo nel mondo, essa precede il primo miracolo.

Chiedendo un miracolo, Maria non spera soltanto di ottenere la continuazione della festa ed evitare l’umiliazione degli sposi, ma di affrettare la rivelazione del potere salvifico posseduto da Gesù. Da molto tempo ella attende l’ora di questa rivelazione e coglie l’occasione che le viene offerta. Tuttavia ella riceve una risposta poco incoraggiante. Mentre si poteva attendere, da parte di colui che poteva fornire vino a volontà, una pronta accoglienza della richiesta di sua madre, si assiste a una resistenza che stupisce ancora oggi i lettori del Vangelo: «Che ho da fare con te, o donna? La mia ora non è ancora giunta». Chiamando Maria «donna» e non «madre», Gesù le ricorda la distanza che si è stabilita tra essi, dal momento in cui egli ha iniziato la sua opera di predicazione. Le fa comprendere che la sua qualità di madre non è sufficiente a ottenere il favore chiesto: nel compimento della sua missione egli si comporta non secondo i desideri dei membri della sua famiglia, ma conformemente ili piano del Padre. E, secondo questo piano, la sua ora non è ancora venuta.

Qual è questa ora? Da quando sant’Agostino l’ha interpretata come l’ora della Passione, molti esegeti hanno adottato questo senso. Altri l’intendono piuttosto come l’ora della glorificazione, del ritorno al Padre. Il motivo è che altrove, in altri testi giovannei, l’ora si riferisce sia alla Passione, sia alla glorificazione. Ma, in realtà, il senso dell’affermazione «viene l’ora» o dell’espressione «la mia ora» è determinato ogni volta dal contesto, e dev’essere così nel racconto di Cana. Questo è quanto hanno compreso gli esegeti i quali, senza negare una referenza a tutta l’opera rivelatrice, considerano l’ora come quella del miracolo[11]. Infatti Gesù risponde a sua madre e vuole significare che l’ora del primo miracolo non è ancora venuta. Più esattamente egli risponde al profondo desiderio di Maria che chiedeva la rivelazione del suo potere salvifico: è l’ora della rivelazione che non è prevista in queste circostanze dal piano del Padre. L’ora della prima manifestazione darà inizio allo sviluppo di una rivelazione che culminerà nella risurrezione.

Si comprende d’altronde perché quest’ora non fosse giunta a Cana. Dare del vino a una festa nuziale non sembrava un miracolo di grande importanza, e non ci si può stupire che non sia stato scelto, nel piano divino, come prima rivelazione del Salvatore. La richiesta di vino disturbava questo piano. Pur cogliendo la portata dell’obiezione, Maria non abbandona la sua domanda. Messa alla prova, la sua fede persevera. Ella va dai servi per raccomandare loro di obbedire all’ordine che riceveranno, anche se non ne comprendono la portata: «Qualsiasi cosa egli vi dirà fatela»[12]. Maria lascia capire che si aspetta un ordine strano e che i servi saranno tentati di non eseguirlo; ella conta quindi sul miracolo.

La sua fede ottiene soddisfazione; in modo sorprendente, l’ora che non era venuta, viene. A Cana si applicano le parole evangeliche già citate: «Ti sia fatto come tu hai creduto»; «Tutto è possibile a colui che crede», Particolarmente notevole è il fatto che la fede di Maria ha ottenuto l’anticipazione dell’ora della rivelazione del Salvatore: Gesù stesso, affermando che la sua ora non era venuta, poi operando il miracolo, ha fatto comprendere che la fede può ottenere la modifica del programma stabilito dal Padre.

Alcuni commentatori del racconto sono stati tentati d’indietreggiare davanti all’audacia di questa conclusione, ma il Vaticano II non ha esitato a dire che Maria ha ottenuto, con la sua intercessione, l’inizio dei miracoli[13]. Questa efficacia del suo intervento, con la possibilità di ottenere una modifica dei disegni divini in un caso particolare, è confermata dall’episodio della cananea. Questa donna era venuta da lontano per chiedere la guarigione di sua figlia; per due volte, in un dialogo con i discepoli e poi in una risposta alla donna stessa, Gesù oppone il piano del Padre, che limita la sua missione alle pecore perdute della casa d’Israele. Ma di fronte all’insistenza della fede egli cede e opera il miracolo, derogando dal piano prestabilito: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri» (Mt 15,28).

Si può aggiungere che già l’AT aveva fornito l’esempio di preghiere che ottenevano un cambiamento nelle intenzioni divine. L’intercessione di Abramo in favore di Sodoma mostra come Dio accetti di rinunciare al suo progetto di castigo a motivo della presenza di un certo numero di giusti (Gn 18,16-32). Parimenti, dopo aver ricevuto dal profeta Isaia l’annuncio che morirà, il re Ezechia si mise in preghiera e Jahvè gli accordò ancora quindici anni di vita (2 Re 20,1-11). L’efficacia della preghiera implica che l’uomo può esercitare un certo influsso sulle decisioni divine. Questo influsso è desiderato e voluto dal Padre nel suo amore per gli uomini.

Ciò che importa notare è che la fede di Maria ottiene un miracolo che la sua sola qualità di madre non avrebbe potuto rivendicare. Questo miracolo è «l’inizio dei segni», manifestazione di gloria che fa scattare la fede dei discepoli, dice san Giovanni (2,11). Con la sua iniziativa Maria ha quindi apportato un contributo decisivo alla rivelazione del Salvatore. Gesù ha pienamente integrato questo miracolo nella sua missione facendone il simbolo dell’abbondanza della vita di grazia, delle nozze di Dio con l’umanità, dell’Eucaristia[14]. Con ciò egli ha risposto completamente alla fede di Maria col suo potere salvifico.

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La presenza di Maria nel dramma del Calvario è piena di significato. Non è soltanto la presenza di una madre presso suo figlio nel momento della prova, ma una testimonianza di fede e di speranza in colui che sembra aver perso tutto. Infatti, se Maria si trova così vicina alla croce di Gesù, è perché ha voluto essere là. A differenza dei discepoli che sono fuggiti al momento dell’arresto di Gesù, Maria si è avvicinata a suo figlio per offrirgli interamente la fedeltà della sua fede e del suo amore.

Gesù aveva annunciato ai suoi discepoli la crisi di fede che la Passione avrebbe provocato in essi: «Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32). Queste parole ci fanno comprendere che tutti quelli che erano uniti al Maestro hanno vissuto la prova della croce come prova ai fede. La condanna del Maestro, il suo supplizio e la sua morte ponevano un problema a tutti coloro che credevano in lui. E, come lo sottolinea Gesù, l’influsso di Satana si esercita particolarmente in questo momento; la tentazione di abbandonare la fede era molto viva.

Maria non è sfuggita a questa tentazione, ma, con la fede audace che aveva manifestato all’Annunciazione e a Cana, ha reagito con vigore a ogni eventualità di cedimento. In lei la fede non aveva cessato di svilupparsi già da trent’anni; essa apparteneva alla sua vita più profonda e animava tutta la sua condotta. Maria non avrebbe potuto vivere senza credere in suo figlio. Inoltre, molto meglio dei discepoli, ella era stata preparata al sacrificio. Le parole pronunciate da Simeone si erano impresse nel suo spirito e aveva no orientato la sua vita materna verso un evento messianico che si sarebbe compiuto attraverso la contraddizione e che avrebbe com portato una prova molto dolorosa. Maria sapeva che un giorno la sua anima sarebbe stata trafitta da una spada. Non solo ella lo prevedeva, credendo alla profezia che le era stata rivolta, ma l’aveva accettata e si era abituata a vivere in questa prospettiva.

Ciò che ha contribuito a turbare gli apostoli è stato il fatto che essi credevano in Gesù come in un Messia che doveva essere essenzialmente glorioso. Malgrado le predizioni fatte loro della sua Passione e della sua morte, conservavano in essi l’immagine di un Messia trionfante, proveniente dalla tradizione popolare giudaica. Così la loro fede fu molto scossa. Maria, al contrario, si era lasciata penetrare dall’annuncio dell’itinerario doloroso del Messia: ella credeva in un Messia destinato alla sofferenza e così la sua fede ha potuto resistere più facilmente e consolidarsi nell’ora della prova.

Questa fede in un Messia sofferente aveva pure permesso a Maria di cogliere meglio il senso degli avvenimenti che segnavano il ministero pubblico di Gesù. Essendo consapevole che suo figlio doveva essere nella casa del Padre, Maria discerneva più chiaramente ciò che faceva prevedere una partenza verso il Padre, un ritorno a lui. Constatando l’ostilità crescente incontrata da Gesù, con i tentativi di farlo morire, ella vedeva avvicinarsi il momento del sacrificio. Maria non considerava semplicemente questa opposizione come un increscioso incidente, una difficoltà momentanea che poteva essere superata. Conosceva la pericolosità di certi avversari, che si manifestò sotto i suoi occhi a Nazaret, quando inseguirono Gesù, cercando di gettarlo giù da un precipizio. In questi spiacevoli avvenimenti ella riconosceva soprattutto il disegno misterioso che la conduceva infallibilmente alla spada che le era stata predetta.

Animata da questa fede, Maria è entrata nel dramma della Passione con la volontà di condividere integralmente il destino doloroso di Gesù. Colpita nel suo cuore materno dalla prova, ella soffriva più profondamente dei discepoli. Ma si univa maggiormente al Salvatore, certa che mediante il suo sacrificio, egli compiva la sua missione. Quando san Giovanni dice che Maria «stava presso la croce di Gesù» (19,25), lascia capire che l’atteggiamento di Maria era, esteriormente, quello della fermezza e del coraggio. Ella non si lasciava abbattere dal dolore. Possiamo immaginare che ciò che la sosteneva fosse una fede colma di speranza.

Le parole che le rivolge il Crocefisso rispondono a questa fede e a questa speranza: «Donna, ecco tuo figlio». Chiedendole di assumere una nuova maternità, segno di una missione materna nella vita della Chiesa, Gesù mostra a Maria che ella ha ragione di credere in lui come Salvatore, e nello stesso tempo si afferma padrone dell’avvenire, al di là della sua morte. È solo in un contesto di fede che queste parole assumono il loro senso. È importante notare che la prima preoccupazione di Gesù non è di affidare sua madre al discepolo prediletto, ma piuttosto di affidare il discepolo a sua madre. Maria riceve una nuova responsabilità, un nuovo incarico. Nella sollecitudine materna che è chiamata a esercitare presso il discepolo, la missione di sviluppare e di sostenere la fede, non potrebbe essere assente. Se ci si ricorda che, secondo l’indicazione data prima da Gesù, la fede dei discepoli era in pericolo in quest’ora drammatica, si deve pensare che l’intenzione del Redentore fosse di fornire a questa fede l’aiuto di colei che fu la prima a credere e che non attenuò mai la sua fede. Per questa fedeltà, Maria è particolarmente atta a incoraggiare coloro che attraversano prove e si sentono scossi o turbati nella loro adesione a Cristo[15].

Chiamando sua madre «donna», Gesù la considera come la donna che coopera all’opera redentrice; come a Cana, dove l’aveva pure chiamata «donna», la prima cooperazione femminile è quella della fede, una fede orientata verso la manifestazione delle meraviglie di Dio in questo mondo. Al Calvario la fede di Maria è animata dalla speranza della risurrezione che Gesù aveva annunciato a più riprese per il terzo giorno dopo la sua morte.

Lo sviluppo della fede di Maria non si è fermato al Calvario. L’avvenimento della risurrezione ha dato a questa fede una forza nuova e le ha aperto un nuovo orizzonte. La presenza della madre di Gesù nell’assemblea riunitasi dopo l’Ascensione per attendere l’effusione dello Spirito Santo (At 1,14), segna l’ultima tappa di una fede ormai rivolta verso la formazione e la crescita della Chiesa. Se, come dice il Concilio, Maria è «madre nell’ordine della grazia»[16], ella è più particolarmente madre nel campo della fede. Ella è stata chiamata a credere per prima, per poter trasmettere e irradiare la sua fede nella comunità cristiana.

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[1]  Lumen gentium, n. 58: In peregrination fidei processit.

[2] In proposito si può ricordare l’affermazione di san Tommaso: «Con l’Annunciazione era atteso il consenso della Vergine in luogo e al posto della natura umana» (S. Theol. III, q. 30, a. 1).

[3] Sof 3,14-17; Zc 9,9; Gl 2,21-27.

[4] L’ottativo greco genoito comporta questa sfumatura di augurio.

[5]  Cfr J. GALOT, Gesù ha avuto la fede?, in Civ. Catt. 1982 III 460-472.

[6] La congiunzione greca hoti si può tradurre «che» o «perché». Sui motivi per adottare la traduzione «perché». cfr J. GALOT, La fede di Maria e la nostra, Cittadella. Assisi 1973, 4-46; ID., La force de la foi en Marie et en nous, Louvain 1984.

[7] Mc 10,52; 5,34; Mt 9,22; Lc 7,50; 8,48; 17,19; 18,42; cfr Mt 9,29; 15,28.

[8] Per esempio AGOSTINO, Sermo 13 in Nat. Dom., PL 38, 1019; Enarr. in Ps. 67, PL 36, 826; Sermo 293, PL 38, 1327.

[9] Cfr R. LAURENTIN, Jésus au temple. Mystère de Pâques et foi de Marie, Gabalda, Paris 1966; J. GALOT, Le mystère de Jésus retrouvé au temple, in Diaconia Pisteos, Granata 1969, 241-256.

[10] A. SERRA (Sapienza e contemplazione di Maria secondo Luca 2,19, 51 b, Marianum, Roma 1982) dà a sumballein il senso d’interpretare. Tuttavia gli esempi da lui citati di questo verbo confermano il senso di meditare.

[11]  Cfr G. FERRARO, L’«ora» di Cristo nel quarto Vangelo, Herder, Roma 1974, 112-116; J. GALOT, Marie dans l’Evangile, DDB, Paris-Bruges 1965, 127-135; ID., Maria, la donna nell’opera di salvezza, PUG, Roma 1984, 63-65.

[12] Gn 2,5. La particella greca an aggiunge una sfumatura d’indeterminazione.

[13] Lumen gentium, n. 58: Initium signorum Iesu Messiae intercessione sua induxit.

[14]  La ricchezza di senso del miracolo è molto ampia. A. SERRA (Maria a Cana e presso la croce, Centro di Cultura Mariana «Mater Ecclesiae», Roma 1978, 47-53) presenta il vino come simbolo della parola e della rivelazione escatologica di Cristo; altri commentatori vi discernono altri significati simbolici. Cfr anche I. DE LA POTTERIE, La Madre di Gesù e il mistero di mistero di Carla, in Civ. Catt. 1979 IV 425-440.

[15] M. Gourgues interpreta le parole di Gesù nel senso che Maria, la prima a credere, «è la madre dei credenti rappresentati dal discepolo prediletto» (Marie la «femme» et la «mère» de Jean, in Nouvelle Revue Théologique 108 [1986] 191). Conviene tuttavia aggiungere che la maternità di Maria, enunciata in modo generale, non si limita a questo aspetto.

[16] Lumen gentium, n. 61.

Articolo di libera consultazione.


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All’origine della nostra fede

Jean Galot


6 Settembre 1986

Quaderno 3269

  • Anno 1986
  • Volume III

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