«Solo le pido a Dios / Que el dolor no me sea indiferente / Que la reseca muerte no me encuentre / Vacío y solo sin haber hecho lo suficiente» («A Dio chiedo soltanto/ Che il dolore non mi sia indifferente / Che la morte arida non mi trovi / Vuoto e solo senza aver fatto abbastanza») è la strofa iniziale della celebre canzone «Solo le pido a Dios», di León Gieco, cantautore argentino, di cui ricorrono i 50 anni di carriera. Essa fu scritta nel 1978 ed è rimasta celebre negli anni per le tante versioni eseguite, tra cui memorabili quelle di Mercedes Sosa, di Joan Manuel Serrat, ma anche di Springsteen e di Bono.
Il testo, fortemente pacifista, fa riferimento alle dittature militari dell’epoca, alle tensioni tra Cile e Argentina e si estende a tutte le situazioni di conflitto. Recentemente la canzone è stata riproposta dallo stesso artista, insieme ai cantanti Gastón Saied (in rappresentanza della comunità ebraica in Argentina) e Nuri Nardelli (appartenente all’ordine Sufi Al-Herrari). Registrandola in una Tekkia Sufi di Buenos Aires, gli artisti decidono di incontrarsi per cantare un inno di pace per il Medio Oriente, accompagnati dall’Alma Sufi Ensemble, diretta da Sabi Sebastian. Le strofe sono alternate in spagnolo (lingua originaria del brano), in arabo e in ebraico.
La canzone termina con una improvvisazione solo vocale da parte di Saied, costituita dall’orazione che si pronuncia nella celebrazione del giorno dello Yom Kippur, in cui si chiede a Dio il perdono dei peccati (Dio del perdono, perdonaci per i nostri peccati, assolvici e concedici il perdono). Saied dialoga con la voce di Nardelli, che ripete: Invochiamo Allah con il suo nome interno ed esterno, gli chiediamo il perdono per tutte le volte che ci equivochiamo, per tutto quello che non facciamo bene, per tutti i nostri errori, di cui molte volte non ci accorgiamo. Chiediamo che la tua benedizione venga e ci copra tutti.
Commentando il brano, León Gieco afferma: «Noi riusciamo a fare qualcosa, sebbene sappiamo che tutto questo non cambierà assolutamente nulla, perché la guerra parla un’altra lingua. Tuttavia, rispetto a questa impotenza, cantare questa canzone per la pace in ebraico, in arabo e in spagnolo, mi pare che, proprio in questo momento, ha una ragione di essere».