Sephardic Beat è il nuovo album del musicista Gabriele Coen, che riesce a costruire un interessantissimo mosaico musicale nel quale confluisce la musica della tradizione ebraica sefardita, il jazz e la world music. L’insieme è formato, oltre che da Gabriele Coen, da grandi musicisti come Alessandro Gwis al pianoforte e all’elettronica, Arnaldo Vacca alle percussioni, Mario Rivera al basso acustico e, infine, Ziad Trabelsi, già musicista dell’Orchestra di Piazza Vittorio, che suona l’oud, strumento tipico della tradizione del bacino del Mediterraneo. La musica che si può ascoltare in questo album rispecchia un viaggio che parte da lontano, con ritmi e sonorità che contengono ancora echi del Medioevo e del Rinascimento, della musica occidentale cristiana e delle scale arabo-andaluse che, come spesso accade nella musica, uniscono e non dividono, armonizzano e non stonano, accolgono e non escludono.
L’oud, insieme al set percussivo di Arnaldo Vacca con le sue ritmiche circolari, trasporta l’ascoltatore, attraverso melodie e improvvisazioni, verso altre epoche e verso luoghi dal sapore orientale e mediterraneo, mentre gli strumenti moderni, con estrema attenzione e rispetto, si riveleranno timbriche sonore che rimandano alla contemporaneità e alla modernità.
L’album si apre con «Yo m’enamorí d’un aire», un canto sefardita che comincia con un’improvvisazione arabeggiante, suonata inizialmente dall’oud che dialoga con il pianoforte, per poi lasciare spazio alla struggente melodia suonata dal sax, che quasi si trascina come il passo dei viandanti.
Troviamo, inoltre, all’interno degli 11 brani, riarrangiamenti di due «Cántigas de Santa Maria» (nn. 345 e 176), canti monofonici del XIII secolo voluti dal Alfonso X El Sabio, re di Castiglia, e dedicati alla Vergine; una ninna nanna, «Durme Querido Hijico», proveniente da Salonicco; il brano «Los Bilbilicos Cantan», che ha le sue origini a Istanbul; e alcune musiche originali di Ziad e di Coen stesso, che racchiudono le loro storie e le loro origini.
Sephardic Beat è un album che mette in evidenza come i popoli, nonostante le fughe, le guerre, le migrazioni, continuino ad avere degli elementi in comune, e non solo diversità e differenze. Le tradizioni musicali, in questi lunghi e spesso estenuanti viaggi, non cessano di essere cantate, raccolte e riproposte forse proprio perché contengono le domande fondamentali dell’essere umano e attendono ancora una risposta significativa di pace e di fratellanza.