Una Chiesa oscura e retrograda: l’ultimo dei film storici di Marco Bellocchio è un racconto tetro di uno degli episodi più bui della storia ecclesiastica contemporanea e, allo stesso tempo, un manifesto del pensiero del regista sulla religione e sul cattolicesimo. Per il regista e sceneggiatore piacentino il caso Mortara è uno dei simboli della fine dello Stato Pontificio, ma anche della religione intesa come «legame vincolante» alle leggi divine.
Le interiorità di Pio IX ed Edgardo (che, non a caso, finirà per assumerne il nome) sono il simbolo di una relazione tra divino e umano che è ormai staccata dalla sensibilità contemporanea. Il Pontefice senigalliese è l’immagine di una Chiesa avviluppata in sé stessa nel disperato tentativo di salvaguardare il suo potere e la sua gloria, impotente davanti a un mondo che «continua a scivolare» sempre più velocemente, mentre essa rimane ferma. Il bambino bolognese è emblema di un’umanità colpita nelle dimensioni più fondamentali dell’esistenza che, remissiva, cerca una parola «trascendente», sebbene, a tratti, disumana.
«Dio sa tutto, anche i tuoi pensieri»: il «totalitarismo spirituale» che vorrebbe salvare le anime finisce, spesso, per imprigionarle, e quello che dovrebbe essere un cammino verso la redenzione e l’unità finisce per diventare un dramma interiore. Occultando l’ebraico con il latino e la mezuzah con le vesti sacerdotali, Edgardo copre ma non risolve la battaglia tra assoluti che dilania il suo spirito, uno scontro che pone anche a noi la domanda su che cosa nella religione sia luce e cosa tenebra, che cosa sia divenire storico e cosa eternità.