La verità sconvolgente della violenza sulle donne da parte di mariti, parenti o sconosciuti, tra le mura di casa o sul posto di lavoro, è raccontata in tutta la sua drammatica attualità da Lucrezia Lerro nella raccolta di poesie Se osi parlare (Milano, La nave di Teseo, 2024). L’autrice, nata ad Omignano (Salerno) nel 1977, ha esordito nel 2005 con il romanzo Certi giorni sono felice, finalista al premio Strega 2006. Negli anni, ha alternato alla prosa la poesia, segnalandosi presso il grande pubblico per la capacità di tradurre in parole l’universo femminile, esplorandone complessità e bellezza oltre le semplificazioni e i cliché.
È il caso dell’ultima silloge poetica, Se osi parlare, in cui Lerro dà prova di uno stile che affida alla concisione del verso il compito di restituire compostezza e dignità anche alle scene più crude di abuso fisico e psicologico. La raccolta, fatta di componimenti molto brevi ed evocativi, è divisa in due sezioni: la prima è composta da 49 storie di «abusi»; la seconda da 27 «prove d’amore». Gli abusi e le prove d’amore sono delle vere e proprie istantanee, spesso degli interni, in cui vittime e carnefici, indignazione e ipocrisia si intrecciano in piccoli affreschi quotidiani capaci di rendere il sottile gioco delle parti e del loro assurdo – e tuttavia frequente – ribaltamento.
Al centro della raccolta, il lettore trova una sezione illustrata con «parole e disegni sulla violenza» di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi. Le illustrazioni, un album di 17 fogli, seguono l’intuizione dei due artisti, per cui gli stati della realtà e i livelli percettivi comunicano tra di loro senza una coerenza interna. In effetti, le immagini, accompagnate da didascalie, si susseguono in modo da disegnare un ipotetico flusso di coscienza in cui è convogliata tutta la varietà di simboli che la parola «violenza» può evocare. Come le illustrazioni di Gianikian e Ricci Lucchi, le poesie di Lerro fotografano le conseguenze, e ancor prima le premesse, di quel punto di rottura, all’interno delle relazioni tra uomo e donna, finanche tra le generazioni, in cui risultano indistinguibili viltà e colpa. Con questo, l’autrice non viene meno alla responsabilità di raccontare e di denunciare l’orrore, agito, subìto o anche solo taciuto, perché in ogni caso le svalutazioni non sono prove d’amore («prova d’amore cinquantatré»).