
Molti vengono catturati dal fascino delle icone, «oggetti fisici con una realtà metafisica», che «agiscono come finestre sul mondo dell’aldilà, collegando così il cielo e la terra, il temporale e l’eterno» (p. Athenagoras Stylianou). Ma il compositore John Tavener (1944-2013) ha fatto un passo in più: ha voluto creare vere e proprie icone sonore.
Enfant prodige della musica inglese – i Beatles lo invitano a incidere The Whale (1968), ispirata alla vicenda biblica di Giona, con la loro etichetta Apple Records –, Tavener è attraversato da una ricerca spirituale profonda, mentre si rafforza la sua vocazione di compositore. Di famiglia presbiteriana, egli approda al cristianesimo ortodosso nel 1977, dopo un periodo a contatto con il misticismo carmelitano e lavori che rinviano al «morire a sé stessi» di san Giovanni della Croce o alla «notte dell’anima» di santa Teresa di Lisieux.
Con la sua musica, Tavener desidera «condurre sulla soglia della preghiera, o sulla soglia di un vero incontro con il Dio vivente. Perché il sacro è anteriore all’arte e completamente incontaminato da tutto ciò che l’arte può fare». Una musica che non parla alla testa, ma al cuore, proprio come il tipo di pittura dell’icona, che non pone domande intellettuali all’osservatore. L’incanto estatico delle sue linee melodiche ha stregato registi come Alfonso Cuarón o Paolo Sorrentino (The Lamb in La grande Bellezza, del 2013). Song For Athene (1993), che combina citazioni dall’Amleto di Shakespeare e testi liturgici, diventa popolarissima dopo essere stata eseguita ai funerali della principessa Diana.
Per creare icone sonore, Tavener può combinare diversi elementi: l’ison bizantino, una nota-pedale che simboleggia la presenza divina e l’eterno; l’effetto specchio di semplici linee melodiche che si sviluppano secondo i princìpi del moto contrario, per rendere la simmetria e l’ordine caratteristici dell’icona; i modi, strutture armoniche più «statiche» delle scale musicali, in analogia alla «scrittura» delle icone, che non cambia nei secoli. Tavener crede che «tutti i modi – bizantino, ebraico, musulmano, indù – abbiano cose in comune; vanno indietro all’alba della civilizzazione». Così, forse, uno deve percorrere quella strada per scrivere davvero musica teofonica, ossia «musica proveniente da Dio».
Per il compositore Bruce Adolphe, «ascoltare l’opera di John Tavener significa confrontarsi con il mistero. Le sue melodie lacrimano e pregano, le sue armonie gioiscono e piangono». Egli sente risuonare in esse le parole di T. S. Eliot: «il tempo futuro contenuto nel tempo passato», «dove il tempo non ha direzione, dove i concetti tradizionali occidentali […] si dissolvono in una spirale infinita di contemplazione».