L’esigenza di leggere il presente appartiene naturalmente al gesto poetico. Roberta Dapunt si segnala oggi per la particolare coerenza tra poetica e forma di vita, coerenza che nella sua ultima raccolta di poesie dal titolo Il verbo di fronte (Torino, Einaudi, 2024) si fa semplicemente testimonianza.
Nata nel 1970 a Ciaminades, nell’Alta Val Badia, Dapunt ha ereditato attraverso il marito, lo scultore Lois Anvidalfarei, il maso di famiglia. Dal 1993, anno in cui è uscita in versione plaquette la sua prima opera OscuraMente, i ritmi tipici della vita rurale rappresentano il contesto vitale della ricerca della scrittrice, che dal 2012, con Nauz, si esprime anche nella sua lingua madre, il ladino. Dalla solitudine del suo maso, ne Il verbo di fronte, l’autrice prova a risignificare dimensioni universali dell’esistenza, come la malattia, la religione, il rapporto con la natura, i legami familiari, con un linguaggio asciutto e umile che riflette a tratti il carattere della propria terra.
In un’epoca ancora segnata dalle conseguenze della pandemia, la raccolta di Dapunt intende mettere a fuoco, in chiave poetica, i livelli possibili di una rinnovata coscienza, individuale e collettiva, che anche attraverso il dolore cresce e si sviluppa. Nella poesia «Virus» questa coscienza è così descritta: «Eppure, in questo silenzio che si è fatto uno / tra le lingue e le appartenenze. In questo silenzio / che nessuno, nessuno ha mai sentito prima, / si sentono dire parole sconosciute da noi liberi europei». Il silenzio, sia quello drammatico sperimentato nel lockdown sia quello solenne che domina una vita scandita dalle ritualità stagionali, è vissuto come la dimensione originaria da cui nasce non solo la parola poetica, ma anche la verità ultima della condizione umana.
La lezione, certamente di letteratura, ma soprattutto di consapevolezza, che Dapunt ci offre in questa sua ultima raccolta, pur muovendo da un ascolto autentico della propria interiorità, si allarga fino a nominare quella sacralità che l’erba e le montagne intorno sembrano contenere. La misura nuova del vivere alla quale l’uomo oggi è chiamato all’interno di una natura offesa e ignorata è racchiusa nella poesia «La ferma visione»: «E in questo piccolo oggi, mentre l’uomo cammina / nella certezza di un progresso, le montagne / sembra stiano ferme. / […] Senza fasto né ostentazione superba, / solo la temperanza del sacro. / La vedi? Io la vedo».