Dopo Anatomia di una scomparsa e il più famoso Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro, per il quale vinse il premio Pulitzer nel 2017 nella categoria «Miglior biografia, autobiografia», lo scrittore di origine libiche Hisham Matar, cresciuto fra Egitto e Gran Bretagna, prosegue l’esplorazione della propria condizione di espatriato con il recente Amici di una vita (Einaudi, 2024).
Attraverso la voce narrante di Khaled, Matar costruisce una storia di amicizie maschili compresa tra due fatti realmente accaduti: il 17 aprile del 1984 e il 20 ottobre del 2011. Il primo evento sbalza i personaggi fuori dai binari delle loro biografie di studenti universitari, il secondo segna la fine del «nocciolo del nostro dolore». Il romanzo, che si svolge nella cornice di una lunga passeggiata preserale per le strade di Londra, ha vari punti pregevoli.
Il primo è il ritmo veloce che la struttura a brevissimi capitoli imprime alla lettura. Il secondo è la maestria con cui Matar riporta in termini di finzione narrativa l’evento storico della sparatoria del 17 aprile del 1984, quando dalle finestre dell’ambasciata libica furono esplosi dei colpi di mitragliatrice contro un gruppo di dimostranti, provocando il ferimento di 11 studenti e la morte di una poliziotta. Il terzo punto è il tratteggio dei tre uomini (Khaled, Hosam e Mustafa), ciascuno distinguibile per il carattere di esilio che incarna (l’intellettuale distaccato, l’uomo in fuga e l’esiliato pragmatico e rancoroso).
In particolare, ci sembra che le pagine tocchino una qualità di scrittura più alta quando viene evocata la figura paterna di Khaled: lo struggimento e l’intimità della relazione tra padre e figlio che vi sono descritti riverberano forse della nostalgia e del dolore della vicenda reale del padre dello scrittore. In modo analogo, il più diffuso e quasi «nebulizzato» senso di straniamento e di sospensione sbigottita e timorosa che la condizione di esule induce, in un lento processo di elaborazione di ciò che è avvenuto, ci sembra essere l’altro nucleo «caldo» del tessuto emozionale che Matar propone al lettore.
Meno convincente è la parte finale, la descrizione della cosiddetta «primavera araba in Libia» fino alla cattura di Gheddafi. L’autore descrive con maestria gli “interni” di una vita nascosta e ferita. Il suo sguardo si fa «sfocato» di fronte ai movimenti storici e sociali più ampi. Amici di una vita è un romanzo di cui consigliamo la lettura.