Qual è il peso della memoria nella vita di una persona e di una collettività? È la domanda suscitata dall’incontro con i quadri di Nilda Neves.
L’artista brasiliana, nata a Botuporã, in Bahia, nel 1961, ha studiato contabilità, ha lavorato come commerciante e parrucchiera, ed è stata professoressa di matematica e scrittrice. Disegnatrice e pittrice autodidatta, ha realizzato la prima esposizione nel 2015. Cominciò a dedicarsi all’arte mossa dal desiderio di raccontare la culla che la vide nascere e crescere, il sertão brasiliano. L’opera A lua de Zabumbão, esposta nella mostra in Brasilia intitolata «Do Sertão à Lua», (Museu Nacional da República, 1° dicembre 2023 – 28 gennaio 2024) assomiglia a un frattale, è un segmento che contiene tutto il lavoro artistico di Neves: il ricordo del sertão brasiliano, in primo luogo; in secondo luogo, il lavoro manuale del padre, il racconto di storie e di tradizioni antiche e la memoria come palestra dove allenarsi a interpretare il presente.
L’olio su tela ritrae una notte fonda che accoglie il lavoro silenzioso di un uomo solitario. Forse strappa erbacce, le sue mani afferrano frutti della terra filiformi. Sembra impegnato a sradicare ciò che potrebbe interrompere il biancore della neve. La luna, avvolta da una luce che la rende non troppo dissimile dal sole, troneggia, mentre il cielo e il manto di neve lottano: il nero, misto a macchie di marrone sparse, contrasta col bianco; la contrapposizione suggerisce il freddo pungente.
L’olio sembra rendere presente la memoria dell’autrice abitata da paesaggi che hanno scandito la sua infanzia a ritmo di tanti racconti. Lascia a chi lo accoglie un messaggio: la memoria, pur appartenendo al passato, viene a visitarci come un Tu, come una compagna, che si avvicina per donarci un insegnamento. È una compagna, tuttavia, per niente invadente, che sa lasciare spazio e tempo alla novità che ciascuna persona è. Va a braccetto con la costruzione di progetti orientati al futuro. Ricordare, suggerisce l’olio su tela, viene da lontano e offre simboli per modellare e interpretare la realtà presente.
Neves consegna allora un ventaglio di domande: cosa stiamo facendo della memoria personale e collettiva, culla delle tradizioni che ci hanno preceduto e in parte formato? La stiamo rendendo una prigione nella quale rimanere e dalla quale osservare nostalgici il presente? Oppure possiamo pensare un futuro più umano, provocati dal gesto di ricordare?